Brano 3
Questa notte ho incontrato l’ostilità, ed ho avuto paura: la porta che mi ha attirato, era custodita da un’ombra gigantesca, minacciosa, che si è qualificata come il Non Essere… ho temuto la morte eterna, l’annientamento. Il mostro ostentava la sua ferocia, pronto a sbranarmi se non gli avessi rivelato… il nome. Quale nome? Quale nome? Presto!
Cercavo disperatamente un codice, un termine, una parola, un limite, ecco, una linea di demarcazione per definire! Per definirmi, forse. Ero pietrificato, atterrito. L’ombra spalanca le sue fauci deformi, raccapriccianti, tempestate di zanne aguzze, pronta a sbranarmi, ma la Voce mi ammonisce: “Il tuo nome è Non cercare di capire.”
Liberato da un peso tremendo, mi sentii scagliato verso l’infinito da un elastico che non opponeva più resistenza, e iniziai a vedere, mentre la Voce mi supplicava: “Lascia che lettere continuino ad essere lettere, nonostante le parole!”
L’esaltazione per le esperienze vissute ha ceduto il posto alla prudenza. Potevo, forse, confidare a chicchessia questa storia? Per molte notti mi ritrovai osservatore di una vicenda che andava prendendo un senso compiuto.
Capii che nessuno si era accorto del suo arrivo. Sembrò modellarsi dal nulla. Nel cielo s'accese uno spettacolo irragionevole ed affascinante. Poi la videro tutti: lo sguardo poteva venerare la stella uncinata da entrambi gli emisferi, giorno e notte. La croce rilucente fissava lo sguardo sulla terra, avvicinandosi ad una velocità indefinibile. Incurante dell'incredulità umana, l’astro pulsò divenendo viola e iniziò a roteare sibilando. Il suono durò qualche minuto... ma nel mondo non si sentì. Arrestò la sua corsa e tacque, brillando silenziosa, scambiata dagli scienziati per un satellite in avaria.
Torino, la cupola del Duomo di San Giovanni e i tetti di Palazzo Reale inchiodati nell’arcigna notte estiva, erano illuminati dall’ignoto bagliore che faceva impallidire la luna crescente. Dense nuvole grigie coprivano le stelle. Nelle viscere della terra qualcuno aprì una cassaforte e vi ripose una scatola metallica, mentre una gigantesca figura percorreva a passi felpati il buio cunicolo, che portava alla camera più segreta della città. La sala alchemica era celata da secoli sotto le statue equestri di Castore e Polluce, Venere mattutina e vespertina.
Orribile: in un attimo il collo del sacerdote cedette, fra le possenti mani dello sconosciuto. Un urlo rappreso: l’aggressore torse il vertice di quella spina dorsale. Il religioso, nell’impossibilità di esprimere un parere, grugnì una preghiera. Un tenue fuoco azzurrino si abbatté sul suo volto. L’assassino restò impassibile; i suoi occhi brillarono nella semioscurità. La mano guantata s’impossessò della scatola. Sul coperchio, l’effigie di una piramide sbalzata, al cui centro campeggiava una rosa rossa ad otto petali e il motto Giganti nelle Tenebre. Abbandonato il corpo, l’assassino si dileguò rapidamente nel dedalo di passaggi sotterranei.
Questa notte ho incontrato l’ostilità, ed ho avuto paura: la porta che mi ha attirato, era custodita da un’ombra gigantesca, minacciosa, che si è qualificata come il Non Essere… ho temuto la morte eterna, l’annientamento. Il mostro ostentava la sua ferocia, pronto a sbranarmi se non gli avessi rivelato… il nome. Quale nome? Quale nome? Presto!
Cercavo disperatamente un codice, un termine, una parola, un limite, ecco, una linea di demarcazione per definire! Per definirmi, forse. Ero pietrificato, atterrito. L’ombra spalanca le sue fauci deformi, raccapriccianti, tempestate di zanne aguzze, pronta a sbranarmi, ma la Voce mi ammonisce: “Il tuo nome è Non cercare di capire.”
Liberato da un peso tremendo, mi sentii scagliato verso l’infinito da un elastico che non opponeva più resistenza, e iniziai a vedere, mentre la Voce mi supplicava: “Lascia che lettere continuino ad essere lettere, nonostante le parole!”
L’esaltazione per le esperienze vissute ha ceduto il posto alla prudenza. Potevo, forse, confidare a chicchessia questa storia? Per molte notti mi ritrovai osservatore di una vicenda che andava prendendo un senso compiuto.
Capii che nessuno si era accorto del suo arrivo. Sembrò modellarsi dal nulla. Nel cielo s'accese uno spettacolo irragionevole ed affascinante. Poi la videro tutti: lo sguardo poteva venerare la stella uncinata da entrambi gli emisferi, giorno e notte. La croce rilucente fissava lo sguardo sulla terra, avvicinandosi ad una velocità indefinibile. Incurante dell'incredulità umana, l’astro pulsò divenendo viola e iniziò a roteare sibilando. Il suono durò qualche minuto... ma nel mondo non si sentì. Arrestò la sua corsa e tacque, brillando silenziosa, scambiata dagli scienziati per un satellite in avaria.
Torino, la cupola del Duomo di San Giovanni e i tetti di Palazzo Reale inchiodati nell’arcigna notte estiva, erano illuminati dall’ignoto bagliore che faceva impallidire la luna crescente. Dense nuvole grigie coprivano le stelle. Nelle viscere della terra qualcuno aprì una cassaforte e vi ripose una scatola metallica, mentre una gigantesca figura percorreva a passi felpati il buio cunicolo, che portava alla camera più segreta della città. La sala alchemica era celata da secoli sotto le statue equestri di Castore e Polluce, Venere mattutina e vespertina.
Orribile: in un attimo il collo del sacerdote cedette, fra le possenti mani dello sconosciuto. Un urlo rappreso: l’aggressore torse il vertice di quella spina dorsale. Il religioso, nell’impossibilità di esprimere un parere, grugnì una preghiera. Un tenue fuoco azzurrino si abbatté sul suo volto. L’assassino restò impassibile; i suoi occhi brillarono nella semioscurità. La mano guantata s’impossessò della scatola. Sul coperchio, l’effigie di una piramide sbalzata, al cui centro campeggiava una rosa rossa ad otto petali e il motto Giganti nelle Tenebre. Abbandonato il corpo, l’assassino si dileguò rapidamente nel dedalo di passaggi sotterranei.