Brano 4
Ormai potevo entrare nello stato visionario con intenzione, ma non dirigere i simboli, che dissolvendo e scivolando, rapidi come il fulmine, formavano parole, frasi, narrazioni, in una danza di luci e suoni eterei.
Circa tre settimane dopo l’episodio del delitto, un sabato pomeriggio mi sdraiai sul divano in salotto per un riposino. Ero tranquillo. Dalle tapparelle semichiuse una luce lieve accarezzava la stanza, tempestata di pulviscolo finissimo. Dissi al mio corpo di rilassarsi, completamente. Respirai profondamente, prima facendo uscire tutta l’aria, poi assorbendone in quantità tale da riempire prima il ventre, poi il torace, immaginando di portare quella massa leggera sino alla sommità della testa. Trattenei il respiro per venti secondi, ripetei l’operazione più volte, immaginando la massa del sangue che affluiva e defluiva da polmoni e cervello, fino a quando fui nuovamente pervaso da una pesantezza cadaverica, ma la mia coscienza, questa volta, era ben desta. Ecco la ruota delle lettere, il passaggio… automatico.
Mi dicevo di voler studiare a fondo il significato di quei segni, in qualche libro cabalistico, quando fossi tornato in me, per così dire. Ma la voce che riempiva il buio mi rimproverò, intimandomi nuovamente ed aspramente di non cercare di capire, intellettualmente, il senso del testo: la comunicazione era indirizzata alla mia anima.
Dovevo vivere la verità più che conoscerla, trasformare il mio complesso fisico, psichico e spirituale per adeguarlo al piano divino. Dopo dominerò il mio regno e riuscirò a dirigere intenzionalmente i miei organi e le mie facoltà, il vedere non sarà più un’abitudine meccanica, ogni mia parola muoverà realmente i mondi divini ed umani. Si trattava di concetti inavvicinabili, difficili da intendere. Fui attratto da un vortice di luce, che mi portò ancora una volta a decine e decine di metri da terra. Riaprii gli occhi e tornai a rivedere le stelle, che brillavano mute nuovamente sul cielo di… Torino. Grazie alla Mole Antonelliana identificai subito la località.
Mi librai sulle strade, molli di nostalgia, mentre un saxofono barocco recitava aspre sonorità e singulti. Cantava il sax solitario. Soffiava nell’aria una dissonante melodia. Levitate con me, sui tetti neri e fradici, dove le attossicate antenne e i comignoli vomitano campi magnetici e fumi biancastri. Ecco laggiù i monoliti cupi degli stabilimenti industriali, gli enormi tubi cromati, la luce giallastra sui corsi, e tutto è odore di un Ades velenoso. Adesso stop! Guarda quella costruzione altissima… è simile a tutti i grattacieli dei sobborghi: mille occhiaie vuote su una terrificante faccia di cemento. Saliamo su, su, su. Il sax mi stordisce. Taci, poeta d'afflizioni e sventure! Andiamo, andiamo, verso quella finestra, l'ultima a sinistra. Entriamo. L’uomo è disteso su un letto, avvolto in un lenzuolo, sudato, nudo, solo.
Si sollevò dal materasso, ondeggiando con maestria. Aprì gli occhi, terrorizzato e s'aggrappò ad una maniglia dell'armadio. Afferrò le ciabatte magnetiche e le calzò, ritrovando la sensazione della gravità. Non ricordava di possedere simili calzature, né di avere un sistema antigravitazione. Costava troppo quel giochetto. Eppure tutto pareva reale. Alzò lo sguardo al soffitto: il multivisore Oled, ad emettitori di luce organici, sputò un film sexy interattivo. Decise d'intervenire. Una donna era adagiata su un'amaca: mostrava la schiena, le spalle e la testa riccia. Sospirava. Lui poteva provarci... o non provarci.
La femmina si voltò voluttuosamente. Primo piano: un essere d’aspetto orripilante! Lui telecomandò il rifiuto. Dal lato destro dello schermo partì un pugno. Il colpo fu violento. Il volto si macchiò di rosso. L’immagine cadde a terra, annichilita. Schifato da tanta violenza, urlò “stop!” e il visore dissolse al nero, restando acceso. Ripensò ad Eliana, la ragazza che aveva amato a 17 anni. Dopo due secondi apparve il volto di una moretta, occhi chiari, giovanissima. Ted rise a fior di labbra sussurrando: “Eliana!”. La donna si accorse d’essere osservata e la sua voce traboccò dagli amplificatori.
“E' un anno che non ci vediamo, come te la passi Ted?"
Rise. "Come sarebbe a dire un anno?" Eliana annuì, lui stupì, cosciente dell'impossibilità: altro che dodici mesi, erano passati... trentadue anni! Non sapeva neppure se fosse ancora viva. Ed eccola lì, giovane e bella come allora.
"Come stai?", le chiese.
"Benissimo Ted, in questo momento mi hanno sganciato mille mondial crediti!" disse entusiasta, mostrando denti bianchi come un edelweiss sulla neve, e concluse: "Sai, faccio la modella illusoria! E tu? L'università, gli esami, non mi dici nulla?" indagò dolcemente, come se il tempo si fosse fermato. Almeno, così parve a Ted: "Capitalisti di merda, entro in clandestinità, diserto! Non voglio entrare nel novero dei lobotomizzati! E passi lo sfruttamento imperialista delle risorse e delle energie, ma il corpo e l'anima sono miei, e non li regalo a delle carogne!" Gridò, con un tono che compitava orgoglio, amarezza e paura.
Eliana, per placarlo, non si risparmiò: iniziò a far scorrere un placido fiume d’elogi, che al ragazzone sembrò un torrente di fragori indecifrabili. Non rispose. Fissò con aria triste quel volto giovanissimo, figurandoselo a tre dimensioni. Bimba... ricordò le tenere labbra d’adolescente all’ingresso della scuola, quei baci che ancora odoravano di sveglia, caffélatte e borotalco. Avrebbe voluto allargare l'inquadratura ai fianchi, alle sinuose natiche, alle gambe lisce. Lo schermo restò inchiodato sul primo piano, ma stava davvero parlando con Eliana?
"Cosa c'è?" chiese la moretta, esplorando un tramonto sul volto di Ted, che non aveva più parole e balbettava ronzii indefiniti; eppure al bar Dino & Dina e al Circolo del poker, lo consideravano una personalità carismatica, di gran rilievo oratorio... fece crocchiare le nocche delle dita, come d'abitudine: "Ely... non capisco... non capisco! Sogno?"
La ragazza brillava, avvolta in un pulviscolo dorato. "Voglio aiutarti, non stai dormendo e non sei sveglio."
"Ecco, lo sapevo, troppo bello averti ritrovato."
Lo guardò benigna: "Stai tranquillo che c’incontreremo."
"Quando?" disse, invaso di speranza.
"Presto, Ted, molto presto."
Il multivisore si spense e lui franò senza nome, con un tonfo sordo, nell’inconscio più basso.
Sapevo, questa volta, di essere entrato nello stato alterato di coscienza di quell’uomo. Ma di quale percezione vado scrivendo? Della mia, della sua? Quante realtà esistono?
Ormai potevo entrare nello stato visionario con intenzione, ma non dirigere i simboli, che dissolvendo e scivolando, rapidi come il fulmine, formavano parole, frasi, narrazioni, in una danza di luci e suoni eterei.
Circa tre settimane dopo l’episodio del delitto, un sabato pomeriggio mi sdraiai sul divano in salotto per un riposino. Ero tranquillo. Dalle tapparelle semichiuse una luce lieve accarezzava la stanza, tempestata di pulviscolo finissimo. Dissi al mio corpo di rilassarsi, completamente. Respirai profondamente, prima facendo uscire tutta l’aria, poi assorbendone in quantità tale da riempire prima il ventre, poi il torace, immaginando di portare quella massa leggera sino alla sommità della testa. Trattenei il respiro per venti secondi, ripetei l’operazione più volte, immaginando la massa del sangue che affluiva e defluiva da polmoni e cervello, fino a quando fui nuovamente pervaso da una pesantezza cadaverica, ma la mia coscienza, questa volta, era ben desta. Ecco la ruota delle lettere, il passaggio… automatico.
Mi dicevo di voler studiare a fondo il significato di quei segni, in qualche libro cabalistico, quando fossi tornato in me, per così dire. Ma la voce che riempiva il buio mi rimproverò, intimandomi nuovamente ed aspramente di non cercare di capire, intellettualmente, il senso del testo: la comunicazione era indirizzata alla mia anima.
Dovevo vivere la verità più che conoscerla, trasformare il mio complesso fisico, psichico e spirituale per adeguarlo al piano divino. Dopo dominerò il mio regno e riuscirò a dirigere intenzionalmente i miei organi e le mie facoltà, il vedere non sarà più un’abitudine meccanica, ogni mia parola muoverà realmente i mondi divini ed umani. Si trattava di concetti inavvicinabili, difficili da intendere. Fui attratto da un vortice di luce, che mi portò ancora una volta a decine e decine di metri da terra. Riaprii gli occhi e tornai a rivedere le stelle, che brillavano mute nuovamente sul cielo di… Torino. Grazie alla Mole Antonelliana identificai subito la località.
Mi librai sulle strade, molli di nostalgia, mentre un saxofono barocco recitava aspre sonorità e singulti. Cantava il sax solitario. Soffiava nell’aria una dissonante melodia. Levitate con me, sui tetti neri e fradici, dove le attossicate antenne e i comignoli vomitano campi magnetici e fumi biancastri. Ecco laggiù i monoliti cupi degli stabilimenti industriali, gli enormi tubi cromati, la luce giallastra sui corsi, e tutto è odore di un Ades velenoso. Adesso stop! Guarda quella costruzione altissima… è simile a tutti i grattacieli dei sobborghi: mille occhiaie vuote su una terrificante faccia di cemento. Saliamo su, su, su. Il sax mi stordisce. Taci, poeta d'afflizioni e sventure! Andiamo, andiamo, verso quella finestra, l'ultima a sinistra. Entriamo. L’uomo è disteso su un letto, avvolto in un lenzuolo, sudato, nudo, solo.
Si sollevò dal materasso, ondeggiando con maestria. Aprì gli occhi, terrorizzato e s'aggrappò ad una maniglia dell'armadio. Afferrò le ciabatte magnetiche e le calzò, ritrovando la sensazione della gravità. Non ricordava di possedere simili calzature, né di avere un sistema antigravitazione. Costava troppo quel giochetto. Eppure tutto pareva reale. Alzò lo sguardo al soffitto: il multivisore Oled, ad emettitori di luce organici, sputò un film sexy interattivo. Decise d'intervenire. Una donna era adagiata su un'amaca: mostrava la schiena, le spalle e la testa riccia. Sospirava. Lui poteva provarci... o non provarci.
La femmina si voltò voluttuosamente. Primo piano: un essere d’aspetto orripilante! Lui telecomandò il rifiuto. Dal lato destro dello schermo partì un pugno. Il colpo fu violento. Il volto si macchiò di rosso. L’immagine cadde a terra, annichilita. Schifato da tanta violenza, urlò “stop!” e il visore dissolse al nero, restando acceso. Ripensò ad Eliana, la ragazza che aveva amato a 17 anni. Dopo due secondi apparve il volto di una moretta, occhi chiari, giovanissima. Ted rise a fior di labbra sussurrando: “Eliana!”. La donna si accorse d’essere osservata e la sua voce traboccò dagli amplificatori.
“E' un anno che non ci vediamo, come te la passi Ted?"
Rise. "Come sarebbe a dire un anno?" Eliana annuì, lui stupì, cosciente dell'impossibilità: altro che dodici mesi, erano passati... trentadue anni! Non sapeva neppure se fosse ancora viva. Ed eccola lì, giovane e bella come allora.
"Come stai?", le chiese.
"Benissimo Ted, in questo momento mi hanno sganciato mille mondial crediti!" disse entusiasta, mostrando denti bianchi come un edelweiss sulla neve, e concluse: "Sai, faccio la modella illusoria! E tu? L'università, gli esami, non mi dici nulla?" indagò dolcemente, come se il tempo si fosse fermato. Almeno, così parve a Ted: "Capitalisti di merda, entro in clandestinità, diserto! Non voglio entrare nel novero dei lobotomizzati! E passi lo sfruttamento imperialista delle risorse e delle energie, ma il corpo e l'anima sono miei, e non li regalo a delle carogne!" Gridò, con un tono che compitava orgoglio, amarezza e paura.
Eliana, per placarlo, non si risparmiò: iniziò a far scorrere un placido fiume d’elogi, che al ragazzone sembrò un torrente di fragori indecifrabili. Non rispose. Fissò con aria triste quel volto giovanissimo, figurandoselo a tre dimensioni. Bimba... ricordò le tenere labbra d’adolescente all’ingresso della scuola, quei baci che ancora odoravano di sveglia, caffélatte e borotalco. Avrebbe voluto allargare l'inquadratura ai fianchi, alle sinuose natiche, alle gambe lisce. Lo schermo restò inchiodato sul primo piano, ma stava davvero parlando con Eliana?
"Cosa c'è?" chiese la moretta, esplorando un tramonto sul volto di Ted, che non aveva più parole e balbettava ronzii indefiniti; eppure al bar Dino & Dina e al Circolo del poker, lo consideravano una personalità carismatica, di gran rilievo oratorio... fece crocchiare le nocche delle dita, come d'abitudine: "Ely... non capisco... non capisco! Sogno?"
La ragazza brillava, avvolta in un pulviscolo dorato. "Voglio aiutarti, non stai dormendo e non sei sveglio."
"Ecco, lo sapevo, troppo bello averti ritrovato."
Lo guardò benigna: "Stai tranquillo che c’incontreremo."
"Quando?" disse, invaso di speranza.
"Presto, Ted, molto presto."
Il multivisore si spense e lui franò senza nome, con un tonfo sordo, nell’inconscio più basso.
Sapevo, questa volta, di essere entrato nello stato alterato di coscienza di quell’uomo. Ma di quale percezione vado scrivendo? Della mia, della sua? Quante realtà esistono?