Brano 45
Scese la sera e scomparve anche l’ultima nuvola. Il cielo torinese, senza luna, era tappezzato di stelle. Le acque del Po scorrevano lente. Peressi salutò con un cenno della mano un gruppo di canottieri con permessi speciali, che si allenavano. Il centro di Torino chiuse le porte che lo mettevano in comunicazione con l’esterno, serrati gli ingressi alle stazioni della metropolitana, si stava preparando ad accogliere l’élite. Rari gruppi di nottambuli privilegiati aspettavano di varcare le barriere d’accesso, pagando con la nuova CIG, per trascorrere la notte in cinema, ristoranti, bar, negozi notturni e discoteche di lusso, che costavano giorni di stipendio. Tutti i locali erano sorvegliati e non si poteva entrare senza invito personale. Poche le auto private e i taxi in circolazione.
“Ci fermiamo qui e proseguiamo a piedi” disse Peressi.
Parcheggiò la macchina all’imbocco di Corso Moncalieri.
“Io non so come raggiungere l’ipogeo per questa via” precisò Lupo. “Bisogna aspettare mia madre” concluse.
“E’ la ventesima volta che lo ripeti”, sbottò il commissario, “mostraci almeno il posto dell’appuntamento.”
Arrivarono di fronte ai cancelli laterali della Gran Madre. Ornella li stava aspettando. Aprì gli accessi al sotterraneo usando le chiavi di un normalissimo mazzo, come se fosse lei la custode dei più antichi segreti di Torino.
Alle fondamenta della chiesa s’accedeva passando dall’ossario ai caduti, coperto di cupi marmi neri e marroni, illuminato da deboli luci di servizio. Dietro ad un altare, una botola occultava una scala di pietra umida e scivolosa, senza illuminazione.
“Messe nere e marziani, guarda cosa mi tocca!”, mugugnò il commissario Peressi, nervoso. “Dovevo portarmi dietro trenta agenti armati, una bella irruzione e via: tutti i buffoni in questura. Lucertole o maghetti, li torchiavamo per bene e l’assassino di padre Pereira veniva fuori!”
Accesero le torce laser. La porta di legno in fondo alla scala sembrava quella di un’anonima cantina, ben sprangata. Ornella liberò il chiavistello da un pesante lucchetto fine ‘900. Peressi consultò l’orologio, infilò una mano sotto la giacca e tirò fuori la pistola d’ordinanza. Entrò la donna seguita da Lupo. Peressi e Paolo restarono dietro. Un’altra scalinata di pietra, ripidissima, che pareva non finire più e condurre al centro della terra: scesero senza fiatare, passo dopo passo, sui gradini scivolosi. Al fondo si trovarono in una grande stanza quadrata, d’oltre tre metri, con le pareti rivestite di granito, circondate da colonne di stile egiziano, consumate dal tempo, con i capitelli a forma di palme. Sembrava di essere in una piramide, nell’anticamera della stanza funebre di un faraone. Stupirono molto di quel luogo, tranne Ornella. Non c’erano porte o nicchie ma solo una gran lapide di marmo, fra le colonne centrali della parete di fronte a loro, che scendeva sino a lambire il pavimento.
“Nonostante l’apparato scenico… non mi sembrano geroglifici egiziani”, disse Peressi.
“E’ una lingua molto più antica”, spiegò Ornella.
“Cosa significano i segni?” chiese Peressi.
“E’ una dichiarazione d’intenti…”
Fermeremo l’età del Giudizio,
gli Immortali celati nell’illusione
mai saranno scagliati
nell'abisso del nulla.
I Messaggeri della Verità
Fortezze della luce
Cacceremo dalla terra
verso i loro domini stellari,
ché il Verace camminò
al fianco degli Uomini
anomali e squilibrati
come le loro emozioni.
Seth ti da il Benvenuto
Re Dragone
Ornella toccò la parola Seth sei volte, e la lapide si aprì come una porta, girando sui propri cardini. Il cunicolo, alto tre metri per due di larghezza, si perdeva all’orizzonte. Il lezzo di marciumi antichissimi prendeva la gola trucidandola. Sul pavimento di terra battuta scorreva un filo d’acqua rossastra, forse contaminata da ossidi di ferro.
“Acqua ferrosa…”, sussurrò il commissario Peressi.
“In un certo senso, sì…”, disse Lupo.
S’incamminarono in fila indiana e camminarono, ma… quell’incubo oscuro, senza fine, iniziò a restringersi. Ornella si fermò a qualche metro da una fioca luce proveniente da un arco aperto nella parete: “Lupo ed io scendiamo nel tempio, voi potrete osservare il rito da queste feritoie nella parete, che danno sulla sala. Mi raccomando, silenzio assoluto qualsiasi cosa vediate, niente stupidaggini, non un passo, un sospiro, uno starnuto trattenuto… se vi scoprono per voi è finita.
La cerimonia durerà parecchio, quando ne avrete a sufficienza per giudicare, uscite rapidamente di dove siamo venuti. Fortunatamente è un percorso secondario, abbandonato da tempo; non dovreste incontrare nessuno ma nel caso, non fate l’errore di fuggire a rotta di collo percorrendo il tunnel davanti a voi, perché sbuca nella cella del Gran Maestro. Non fatevi neppure tentare dalla via larga. Non dovrete entrare nella galleria più ampia a sinistra: passa sotto il Po e porta alle grotte alchemiche della Piazza Reale, ma è interrotta in più punti, e può crollare.”
Ornella tolse dalla borsa due tuniche verdi col cappuccio, decorate con segni esoterici. Sul petto e sulla schiena campeggiava un dragone stilizzato con la bocca fiammeggiante. Scomparvero alla vista, si udì solo il rumore dei loro passi sulla gradinata dell’ipogeo.
Attraverso le feritoie potevano osservare un salone circolare, al cui centro si ergeva un altare di pietra dove ardevano candele e grossi ceri di vari colori. La luce era molto intensa. Quanto videro li stordì per alcuni secondi.
Tra i volti di decine e decine di persone, riconobbero quelli di molti personaggi, legati alla politica, alla finanza, alla religione, all’economia, all’informazione, allo spettacolo. Uomini e donne di potere, insomma. L’officiante aveva un aspetto fiero, alto più di due metri, avvolto in una tunica nera e rossa. I suoi capelli erano lunghi, brizzolati, legati dietro alla nuca con un codino, gli occhi scuri, penetranti come lame di Siviglia, la mascella squadrata, le labbra sottili, il naso aquilino. Una solida corporatura, collo taurino, spalle larghe e mani tozze
Peressi capì che, marziani o no, una società segreta esisteva, e… chi si riunisce segretamente, segretamente congiurava contro la gente.
Dietro all’altare campeggiava una decorazione che ricordava in tutto e per tutto l’emblema ufficiale dell’ONU. Peressi sembrò interdetto, e sussurrò: ma quello è l’emblema delle Nazioni Unite?”
“Certo. Vedi, i campi a trentatrè gradi del globo dell'ONU rappresentano, i trentatrè gradi del Rito scozzese della massoneria, ma la massoneria non c’entra niente. E’ la tavola dell’Anticristo: le pannocchie di granturco con tredici chicchi ciascuna, su entrambi i lati del globo, raffigurano i tredici gradi della gerarchia dei Re Dragoni, e si riferiscono al numero tredici, che per gli antichi Sumeri era il numero della vittoria. Il numero tredici è importante ed ha vari significati. Gesù ebbe dodici discepoli e lui stesso fu il tredicesimo, ma è considerato un traditore, perché rivelò la via della liberazione attraverso l’amore del Cristo, che lo guidò sulla terra. Per questo lo misero in Croce e per questo attendono il nuovo messia, l’Anticristo, che completerà il grande disegno di dominio sull’umanità. Il tredici, nella Cabala, nella numerologia e nella carta dei tarocchi, "la Morte", significa trasformazione, alchimia, rinascita, la fenice che risorge dalle ceneri, la consapevolezza del gran segreto: la capacità di materializzarsi e di smaterializzarsi, la capacità di creare dall'etere.
In quel momento l’officiante levò le braccia al cielo ed il suo volto iniziò a vibrare in modo anomalo, mutando in quello di un sauro.
Dall’assemblea si levò una litania gutturale, in una lingua incomprensibile. Alle domande ed alle sollecitazioni dell’officiante, tutti rispondevano coralmente, come una sola voce. Il ritmico alternarsi di domanda e risposta, divenne frenetico, provocando mutazioni fisiche a catena e un’eccitazione incontenibile. Alcuni fedeli non mutarono sembiante, compresi Lupo e Ornella. Ma questi restavano lontani dall’emiciclo centrale, erano addetti a funzioni di servizio, quali lo spostamento di coppe, incensieri e bacili.
Scese la sera e scomparve anche l’ultima nuvola. Il cielo torinese, senza luna, era tappezzato di stelle. Le acque del Po scorrevano lente. Peressi salutò con un cenno della mano un gruppo di canottieri con permessi speciali, che si allenavano. Il centro di Torino chiuse le porte che lo mettevano in comunicazione con l’esterno, serrati gli ingressi alle stazioni della metropolitana, si stava preparando ad accogliere l’élite. Rari gruppi di nottambuli privilegiati aspettavano di varcare le barriere d’accesso, pagando con la nuova CIG, per trascorrere la notte in cinema, ristoranti, bar, negozi notturni e discoteche di lusso, che costavano giorni di stipendio. Tutti i locali erano sorvegliati e non si poteva entrare senza invito personale. Poche le auto private e i taxi in circolazione.
“Ci fermiamo qui e proseguiamo a piedi” disse Peressi.
Parcheggiò la macchina all’imbocco di Corso Moncalieri.
“Io non so come raggiungere l’ipogeo per questa via” precisò Lupo. “Bisogna aspettare mia madre” concluse.
“E’ la ventesima volta che lo ripeti”, sbottò il commissario, “mostraci almeno il posto dell’appuntamento.”
Arrivarono di fronte ai cancelli laterali della Gran Madre. Ornella li stava aspettando. Aprì gli accessi al sotterraneo usando le chiavi di un normalissimo mazzo, come se fosse lei la custode dei più antichi segreti di Torino.
Alle fondamenta della chiesa s’accedeva passando dall’ossario ai caduti, coperto di cupi marmi neri e marroni, illuminato da deboli luci di servizio. Dietro ad un altare, una botola occultava una scala di pietra umida e scivolosa, senza illuminazione.
“Messe nere e marziani, guarda cosa mi tocca!”, mugugnò il commissario Peressi, nervoso. “Dovevo portarmi dietro trenta agenti armati, una bella irruzione e via: tutti i buffoni in questura. Lucertole o maghetti, li torchiavamo per bene e l’assassino di padre Pereira veniva fuori!”
Accesero le torce laser. La porta di legno in fondo alla scala sembrava quella di un’anonima cantina, ben sprangata. Ornella liberò il chiavistello da un pesante lucchetto fine ‘900. Peressi consultò l’orologio, infilò una mano sotto la giacca e tirò fuori la pistola d’ordinanza. Entrò la donna seguita da Lupo. Peressi e Paolo restarono dietro. Un’altra scalinata di pietra, ripidissima, che pareva non finire più e condurre al centro della terra: scesero senza fiatare, passo dopo passo, sui gradini scivolosi. Al fondo si trovarono in una grande stanza quadrata, d’oltre tre metri, con le pareti rivestite di granito, circondate da colonne di stile egiziano, consumate dal tempo, con i capitelli a forma di palme. Sembrava di essere in una piramide, nell’anticamera della stanza funebre di un faraone. Stupirono molto di quel luogo, tranne Ornella. Non c’erano porte o nicchie ma solo una gran lapide di marmo, fra le colonne centrali della parete di fronte a loro, che scendeva sino a lambire il pavimento.
“Nonostante l’apparato scenico… non mi sembrano geroglifici egiziani”, disse Peressi.
“E’ una lingua molto più antica”, spiegò Ornella.
“Cosa significano i segni?” chiese Peressi.
“E’ una dichiarazione d’intenti…”
Fermeremo l’età del Giudizio,
gli Immortali celati nell’illusione
mai saranno scagliati
nell'abisso del nulla.
I Messaggeri della Verità
Fortezze della luce
Cacceremo dalla terra
verso i loro domini stellari,
ché il Verace camminò
al fianco degli Uomini
anomali e squilibrati
come le loro emozioni.
Seth ti da il Benvenuto
Re Dragone
Ornella toccò la parola Seth sei volte, e la lapide si aprì come una porta, girando sui propri cardini. Il cunicolo, alto tre metri per due di larghezza, si perdeva all’orizzonte. Il lezzo di marciumi antichissimi prendeva la gola trucidandola. Sul pavimento di terra battuta scorreva un filo d’acqua rossastra, forse contaminata da ossidi di ferro.
“Acqua ferrosa…”, sussurrò il commissario Peressi.
“In un certo senso, sì…”, disse Lupo.
S’incamminarono in fila indiana e camminarono, ma… quell’incubo oscuro, senza fine, iniziò a restringersi. Ornella si fermò a qualche metro da una fioca luce proveniente da un arco aperto nella parete: “Lupo ed io scendiamo nel tempio, voi potrete osservare il rito da queste feritoie nella parete, che danno sulla sala. Mi raccomando, silenzio assoluto qualsiasi cosa vediate, niente stupidaggini, non un passo, un sospiro, uno starnuto trattenuto… se vi scoprono per voi è finita.
La cerimonia durerà parecchio, quando ne avrete a sufficienza per giudicare, uscite rapidamente di dove siamo venuti. Fortunatamente è un percorso secondario, abbandonato da tempo; non dovreste incontrare nessuno ma nel caso, non fate l’errore di fuggire a rotta di collo percorrendo il tunnel davanti a voi, perché sbuca nella cella del Gran Maestro. Non fatevi neppure tentare dalla via larga. Non dovrete entrare nella galleria più ampia a sinistra: passa sotto il Po e porta alle grotte alchemiche della Piazza Reale, ma è interrotta in più punti, e può crollare.”
Ornella tolse dalla borsa due tuniche verdi col cappuccio, decorate con segni esoterici. Sul petto e sulla schiena campeggiava un dragone stilizzato con la bocca fiammeggiante. Scomparvero alla vista, si udì solo il rumore dei loro passi sulla gradinata dell’ipogeo.
Attraverso le feritoie potevano osservare un salone circolare, al cui centro si ergeva un altare di pietra dove ardevano candele e grossi ceri di vari colori. La luce era molto intensa. Quanto videro li stordì per alcuni secondi.
Tra i volti di decine e decine di persone, riconobbero quelli di molti personaggi, legati alla politica, alla finanza, alla religione, all’economia, all’informazione, allo spettacolo. Uomini e donne di potere, insomma. L’officiante aveva un aspetto fiero, alto più di due metri, avvolto in una tunica nera e rossa. I suoi capelli erano lunghi, brizzolati, legati dietro alla nuca con un codino, gli occhi scuri, penetranti come lame di Siviglia, la mascella squadrata, le labbra sottili, il naso aquilino. Una solida corporatura, collo taurino, spalle larghe e mani tozze
Peressi capì che, marziani o no, una società segreta esisteva, e… chi si riunisce segretamente, segretamente congiurava contro la gente.
Dietro all’altare campeggiava una decorazione che ricordava in tutto e per tutto l’emblema ufficiale dell’ONU. Peressi sembrò interdetto, e sussurrò: ma quello è l’emblema delle Nazioni Unite?”
“Certo. Vedi, i campi a trentatrè gradi del globo dell'ONU rappresentano, i trentatrè gradi del Rito scozzese della massoneria, ma la massoneria non c’entra niente. E’ la tavola dell’Anticristo: le pannocchie di granturco con tredici chicchi ciascuna, su entrambi i lati del globo, raffigurano i tredici gradi della gerarchia dei Re Dragoni, e si riferiscono al numero tredici, che per gli antichi Sumeri era il numero della vittoria. Il numero tredici è importante ed ha vari significati. Gesù ebbe dodici discepoli e lui stesso fu il tredicesimo, ma è considerato un traditore, perché rivelò la via della liberazione attraverso l’amore del Cristo, che lo guidò sulla terra. Per questo lo misero in Croce e per questo attendono il nuovo messia, l’Anticristo, che completerà il grande disegno di dominio sull’umanità. Il tredici, nella Cabala, nella numerologia e nella carta dei tarocchi, "la Morte", significa trasformazione, alchimia, rinascita, la fenice che risorge dalle ceneri, la consapevolezza del gran segreto: la capacità di materializzarsi e di smaterializzarsi, la capacità di creare dall'etere.
In quel momento l’officiante levò le braccia al cielo ed il suo volto iniziò a vibrare in modo anomalo, mutando in quello di un sauro.
Dall’assemblea si levò una litania gutturale, in una lingua incomprensibile. Alle domande ed alle sollecitazioni dell’officiante, tutti rispondevano coralmente, come una sola voce. Il ritmico alternarsi di domanda e risposta, divenne frenetico, provocando mutazioni fisiche a catena e un’eccitazione incontenibile. Alcuni fedeli non mutarono sembiante, compresi Lupo e Ornella. Ma questi restavano lontani dall’emiciclo centrale, erano addetti a funzioni di servizio, quali lo spostamento di coppe, incensieri e bacili.