Brano 24
Jean Luc, il disc jockey, espirò sollevato mentre la macchina di Ted entrò in città, sigillata nell’ingorgo che puntava al mare, proveniente dall’autostrada e dalla Via Emilia.
Riconosco il panorama circostante, anche se è notevolmente mutato. Quasi mezza notte. Ci sono delle telecamere alle barriere d’accesso in città. Leggono la targa della macchina e si aprono magicamente. Si ferma in Via Cufra, davanti alla casa di sua moglie. Via Cufra? La targa della strada non mente: sono tornato a casa nel futuro, perché io vivo in questo edificio, è certo.
Il mio corpo rigido, imbalsamato come una mummia, è nel letto accanto a mia moglie, che russa. La mia coscienza è fuori, in strada, davanti a casa, ma… fra quanti anni? E’ una coincidenza, o qualcosa unisce questo Ted alla mia famiglia?
Il ragazzo tortura il citofono. Nessuna risposta. Prevedibile. Salire? Inutile, se Ariette fosse in casa, vedendolo, risponderebbe. Eh sì, perché quello è un… videocitofono, che strano apparecchio.
Un tassì si fermò a pochi metri dalla sua confusione; ne uscì un omuncolo grasso, che dopo aver pagato la corsa con la sua CIGP si avvicinò a Ted a piccoli passi, sorridendogli con aria sorniona, come se avesse incontrato un amico con il quale aveva una tresca. Il tassista non ripartì subito e dal multivisore della vettura si diffuse nell’aria una musica scema. Il conducente stava controllando tutto, con la telecamera posteriore, abbinata agli specchietti retrovisori. Uno dei tanti che non riusciva a farsi gli insiemi suoi.
”Villata!” proruppe l’omino, abbracciandolo. Una scena da circo: nano grassottello che abbraccia gigante con tutta la forza di cui dispone.
“Ma chi sei?” Disse il Villata.
“Non ti ricordi di me? René, René, René…” continuava a ripetere, come una fotocopiatrice.
“Da dove sbuchi, patacca di un pataccone!”
Sono proprio tornato a casa… accento inconfondibile.
René. Un povero uomo sempre alle calcagna di Ariette per difenderla, cavaliere senza macchia, segretamente innamorato, ma così disgustoso da poter ambire al solo ruolo di spalla su cui piangere. Ted lo detesta cordialmente, ritenendolo un gonzo, pronto a dare, dare, dare. E ben, se voleva dare, il Villata avrebbe preso.
“René, sono un disastro, devo trovare subito… no, non sei la persona giusta per un affare di questo tonnellaggio.”
Sa che facendolo sentire inutile, l’omino si farà in quattro.
Spifferò tutto, ma non gli parlò del lucidissimo sogno con Eliana, della furibonda scopata con Isabella, né tanto meno del portachiavi con la piramide. In poche ore era capitato di tutto, si sentiva un latin lover, gli sembrava di essere entrato in un fumetto. D’altra parte stava cercando una CIG falsa.
“Una CIG falsa?” chiese il nano, martoriando nervosamente il papillon verde pisello che ornava il collo della sua camicia.
“Sì René. E’ possibile?”
“Tu vuoi sparire, e Ariette?”
“Te la affido, in prova, per qualche mese, giuro.”
René lo fissò interdetto, senza nascondere una certa soddisfazione: “Non l'avrei mai detto. Il Villata coraggioso! E’ pericoloso, ma si può fare. Posso provarci?”
“Nulla in contrario, tanto non te la dà, sei troppo brutto.”
“Adesso mi offendi!”
“Anche dopo, se vuoi. Andiamo.”
Jean Luc, il disc jockey, espirò sollevato mentre la macchina di Ted entrò in città, sigillata nell’ingorgo che puntava al mare, proveniente dall’autostrada e dalla Via Emilia.
Riconosco il panorama circostante, anche se è notevolmente mutato. Quasi mezza notte. Ci sono delle telecamere alle barriere d’accesso in città. Leggono la targa della macchina e si aprono magicamente. Si ferma in Via Cufra, davanti alla casa di sua moglie. Via Cufra? La targa della strada non mente: sono tornato a casa nel futuro, perché io vivo in questo edificio, è certo.
Il mio corpo rigido, imbalsamato come una mummia, è nel letto accanto a mia moglie, che russa. La mia coscienza è fuori, in strada, davanti a casa, ma… fra quanti anni? E’ una coincidenza, o qualcosa unisce questo Ted alla mia famiglia?
Il ragazzo tortura il citofono. Nessuna risposta. Prevedibile. Salire? Inutile, se Ariette fosse in casa, vedendolo, risponderebbe. Eh sì, perché quello è un… videocitofono, che strano apparecchio.
Un tassì si fermò a pochi metri dalla sua confusione; ne uscì un omuncolo grasso, che dopo aver pagato la corsa con la sua CIGP si avvicinò a Ted a piccoli passi, sorridendogli con aria sorniona, come se avesse incontrato un amico con il quale aveva una tresca. Il tassista non ripartì subito e dal multivisore della vettura si diffuse nell’aria una musica scema. Il conducente stava controllando tutto, con la telecamera posteriore, abbinata agli specchietti retrovisori. Uno dei tanti che non riusciva a farsi gli insiemi suoi.
”Villata!” proruppe l’omino, abbracciandolo. Una scena da circo: nano grassottello che abbraccia gigante con tutta la forza di cui dispone.
“Ma chi sei?” Disse il Villata.
“Non ti ricordi di me? René, René, René…” continuava a ripetere, come una fotocopiatrice.
“Da dove sbuchi, patacca di un pataccone!”
Sono proprio tornato a casa… accento inconfondibile.
René. Un povero uomo sempre alle calcagna di Ariette per difenderla, cavaliere senza macchia, segretamente innamorato, ma così disgustoso da poter ambire al solo ruolo di spalla su cui piangere. Ted lo detesta cordialmente, ritenendolo un gonzo, pronto a dare, dare, dare. E ben, se voleva dare, il Villata avrebbe preso.
“René, sono un disastro, devo trovare subito… no, non sei la persona giusta per un affare di questo tonnellaggio.”
Sa che facendolo sentire inutile, l’omino si farà in quattro.
Spifferò tutto, ma non gli parlò del lucidissimo sogno con Eliana, della furibonda scopata con Isabella, né tanto meno del portachiavi con la piramide. In poche ore era capitato di tutto, si sentiva un latin lover, gli sembrava di essere entrato in un fumetto. D’altra parte stava cercando una CIG falsa.
“Una CIG falsa?” chiese il nano, martoriando nervosamente il papillon verde pisello che ornava il collo della sua camicia.
“Sì René. E’ possibile?”
“Tu vuoi sparire, e Ariette?”
“Te la affido, in prova, per qualche mese, giuro.”
René lo fissò interdetto, senza nascondere una certa soddisfazione: “Non l'avrei mai detto. Il Villata coraggioso! E’ pericoloso, ma si può fare. Posso provarci?”
“Nulla in contrario, tanto non te la dà, sei troppo brutto.”
“Adesso mi offendi!”
“Anche dopo, se vuoi. Andiamo.”