Brano 38
Centinaia di luci antidemocratiche illuminavano, dunque, gli ingressi della Fiera di Rimini. Violarle? Impossibile, se non prendendosi gioco delle telecamere. Garibaldi si pettinò, calcò un caschetto di piombo finissimo, accese una sigaretta, si aggiustò il nodo della cravatta e si diresse con passo deciso verso una porta secondaria, sul lato ovest della fortezza. Prima di entrare nel campo visivo dei dispositivi ottici, attivò un congegno per l’emissione di microonde, incapsulato nella fibbia della cintura dei calzoni. Il trasmettitore a pulsione elettromagnetica iniziò ad inviare contro un’ampia porzione dell’edificio un segnale di forte intensità, superiore ai 5 Hz a 1100 periodi il secondo. Le emissioni erano irregolari e alternavano a frequenze elevate frequenze molto basse.
Le onde microelettriche non erano intercettabili. Avrebbero provocato l’interruzione di tutti i flussi elettro magnetici, quindi delle comunicazioni radio e visive, via etere e via cavo, e sugli esseri umani all’interno degli edifici, una serie d’eventi fisici traumatizzanti, di breve durata. Prima fruscii mentali, bizzarre eco di voci lontane, ansia, agitazione, angoscia, una forte tachicardia, svenimenti, crisi epilettiche e momentanea cecità.
Il passpartout universale funzionò alla perfezione. Paolo entrò nell’edificio, trovandosi al limitare di un corridoio scuro, illuminato da fioche luci organiche d’emergenza che, come meduse negli abissini marini, innescavano un meccanico biologico d’autoluminescenza.
Accese il visore portatile, inserì il cristallo organico, che mostrò la planimetria della fiera. Erano passati tre giorni, due ore e trentadue minuti dall’assassinio di padre Pereira. Sperò vivamente che quella registrazione fosse l’unica e che potesse condurlo ai segreti di cui parlava Ornella.
La sede della Popol Vuh Press non era lontana, cinquecento metri. Camminò spedito, scavalcando numerosi corpi esanimi. Doveva sbrigarsi, il trasmettitore di microonde non aveva un’autonomia infinita, ed agiva soltanto in linea retta su un raggio di 180 gradi. Ben presto la sorveglianza delle aree più lontane si sarebbe accorta dell’anomalia, non potendo più mettersi in contatto con gli edifici che lui aveva attaccato e che stava attraversando.
Uscì dal corridoio e si trovò in un atrio che abbandonò subito per uscire nel cortile interno. L’edificio della Popol Vuh Press lo stava aspettando, la stella uncinata splendeva, e i raggi della luna riverberavano sulle porte di cristallo elettriche aperte, che si erano bloccate in quella posizione grazie allo svenimento di una ragazza della sorveglianza che stava passando quando le microonde erano arrivate.
La registrazione mostrò un consiglio: terzo piano, stanza 122, computer 23, file Semiramide.
Passò nella vasta sala di lavoro dell’ufficio stampa; centinaia di teste giacevano svenute sulle scrivanie davanti ai videoterminali. Qualcosa d’orrendo possedeva quegli esseri dai cervelli connessi ai computer grazie a spinotti inseriti nei crani. Una sorta d’interfaccia fra la Rete e il loro encefalo. In tal modo potevano succhiare ogni tipo d’informazione e di conoscenza come bambini dalla tetta della gran madre e rispondere agli ordini impartiti, secondo precisi standard qualitativi, decisi dal Centro Invisibile di Controllo Mondiale o da qualche sotto comparto. Costoso, ma molto efficace.
"Finalmente queste menti non stanno compiendo il minimo sforzo", pensò Garibaldi, considerandosi un salvatore in forma di tranquillante, anzi un sonnifero ante litteram.
Uscì rapidamente dal salone e si apprestò a forzare la porta della stanza 122.
Si sedette al terminale 23, lasciando fuori la cintura col trasmettitore puntato verso l’area che aveva percorso. In tal modo il campo contrario avrebbe fermato i ‘risvegliati’ accorsi in quella parte d’edificio. La stanza vuota divenne una specie d’isola incontaminata, dove la corrente elettrica scorreva come l’acqua. Non aveva molto tempo: resisi conto di cosa li bloccava avrebbero fatto intervenire una squadra d’indici neri con tute schermate al piombo fine. Accese la macchina, che subito domandò la password. Interfacciò il suo computer portatile inserendo il cristallo organico. Questi iniziò a generare automaticamente una sequenza alfanumerica che lo porto nel mainframe della Popol Vuh. Quel dischetto era veramente imbattibile, nessun sysop poteva fermarlo. Sembrava che pensasse e lo conducesse automaticamente attraverso ogni porta cibernetica.
Garibaldi scosse la testa soddisfatto. Digitò Semiramide: dreadlocks multicolori spazzolarono il touch screen, che iniziò a lampeggiare. Uno dopo l’altra caddero cinque protezioni ufficiali. Poi si arresero dieci blocchi supplementari, roba tosta della Software Security di Gemito.
Per il genio che viveva nel cristallo organico, tutti i recinti erano obsoleti, spazzò ogni ostilità in cinque minuti. Era pronto alla rapina, ma tremava al pensiero che quel mostro di vetro vivo avrebbe potuto mandare in loop il terminale. Si trovò davanti il file richiesto, ma scoprì di aver bisogno di un'altra piccola password.
Centinaia di luci antidemocratiche illuminavano, dunque, gli ingressi della Fiera di Rimini. Violarle? Impossibile, se non prendendosi gioco delle telecamere. Garibaldi si pettinò, calcò un caschetto di piombo finissimo, accese una sigaretta, si aggiustò il nodo della cravatta e si diresse con passo deciso verso una porta secondaria, sul lato ovest della fortezza. Prima di entrare nel campo visivo dei dispositivi ottici, attivò un congegno per l’emissione di microonde, incapsulato nella fibbia della cintura dei calzoni. Il trasmettitore a pulsione elettromagnetica iniziò ad inviare contro un’ampia porzione dell’edificio un segnale di forte intensità, superiore ai 5 Hz a 1100 periodi il secondo. Le emissioni erano irregolari e alternavano a frequenze elevate frequenze molto basse.
Le onde microelettriche non erano intercettabili. Avrebbero provocato l’interruzione di tutti i flussi elettro magnetici, quindi delle comunicazioni radio e visive, via etere e via cavo, e sugli esseri umani all’interno degli edifici, una serie d’eventi fisici traumatizzanti, di breve durata. Prima fruscii mentali, bizzarre eco di voci lontane, ansia, agitazione, angoscia, una forte tachicardia, svenimenti, crisi epilettiche e momentanea cecità.
Il passpartout universale funzionò alla perfezione. Paolo entrò nell’edificio, trovandosi al limitare di un corridoio scuro, illuminato da fioche luci organiche d’emergenza che, come meduse negli abissini marini, innescavano un meccanico biologico d’autoluminescenza.
Accese il visore portatile, inserì il cristallo organico, che mostrò la planimetria della fiera. Erano passati tre giorni, due ore e trentadue minuti dall’assassinio di padre Pereira. Sperò vivamente che quella registrazione fosse l’unica e che potesse condurlo ai segreti di cui parlava Ornella.
La sede della Popol Vuh Press non era lontana, cinquecento metri. Camminò spedito, scavalcando numerosi corpi esanimi. Doveva sbrigarsi, il trasmettitore di microonde non aveva un’autonomia infinita, ed agiva soltanto in linea retta su un raggio di 180 gradi. Ben presto la sorveglianza delle aree più lontane si sarebbe accorta dell’anomalia, non potendo più mettersi in contatto con gli edifici che lui aveva attaccato e che stava attraversando.
Uscì dal corridoio e si trovò in un atrio che abbandonò subito per uscire nel cortile interno. L’edificio della Popol Vuh Press lo stava aspettando, la stella uncinata splendeva, e i raggi della luna riverberavano sulle porte di cristallo elettriche aperte, che si erano bloccate in quella posizione grazie allo svenimento di una ragazza della sorveglianza che stava passando quando le microonde erano arrivate.
La registrazione mostrò un consiglio: terzo piano, stanza 122, computer 23, file Semiramide.
Passò nella vasta sala di lavoro dell’ufficio stampa; centinaia di teste giacevano svenute sulle scrivanie davanti ai videoterminali. Qualcosa d’orrendo possedeva quegli esseri dai cervelli connessi ai computer grazie a spinotti inseriti nei crani. Una sorta d’interfaccia fra la Rete e il loro encefalo. In tal modo potevano succhiare ogni tipo d’informazione e di conoscenza come bambini dalla tetta della gran madre e rispondere agli ordini impartiti, secondo precisi standard qualitativi, decisi dal Centro Invisibile di Controllo Mondiale o da qualche sotto comparto. Costoso, ma molto efficace.
"Finalmente queste menti non stanno compiendo il minimo sforzo", pensò Garibaldi, considerandosi un salvatore in forma di tranquillante, anzi un sonnifero ante litteram.
Uscì rapidamente dal salone e si apprestò a forzare la porta della stanza 122.
Si sedette al terminale 23, lasciando fuori la cintura col trasmettitore puntato verso l’area che aveva percorso. In tal modo il campo contrario avrebbe fermato i ‘risvegliati’ accorsi in quella parte d’edificio. La stanza vuota divenne una specie d’isola incontaminata, dove la corrente elettrica scorreva come l’acqua. Non aveva molto tempo: resisi conto di cosa li bloccava avrebbero fatto intervenire una squadra d’indici neri con tute schermate al piombo fine. Accese la macchina, che subito domandò la password. Interfacciò il suo computer portatile inserendo il cristallo organico. Questi iniziò a generare automaticamente una sequenza alfanumerica che lo porto nel mainframe della Popol Vuh. Quel dischetto era veramente imbattibile, nessun sysop poteva fermarlo. Sembrava che pensasse e lo conducesse automaticamente attraverso ogni porta cibernetica.
Garibaldi scosse la testa soddisfatto. Digitò Semiramide: dreadlocks multicolori spazzolarono il touch screen, che iniziò a lampeggiare. Uno dopo l’altra caddero cinque protezioni ufficiali. Poi si arresero dieci blocchi supplementari, roba tosta della Software Security di Gemito.
Per il genio che viveva nel cristallo organico, tutti i recinti erano obsoleti, spazzò ogni ostilità in cinque minuti. Era pronto alla rapina, ma tremava al pensiero che quel mostro di vetro vivo avrebbe potuto mandare in loop il terminale. Si trovò davanti il file richiesto, ma scoprì di aver bisogno di un'altra piccola password.