Brano 27
E’ proprio una serata piena di fumo. Ariette si accende un’altro spinello e specula, spidocchiando la sua storia: che noia! Sesso, droga e frustrazione. Fa un caldo scrosciante, le nuvole si potrebbero tagliare con un coltello ma non piove da tre ore, sente le gambe accavallate esaurirsi in movimenti oscillatori e il cranio screpolarsi dal dolore. La minigonna rossa è salita docilmente all’inguine, gli stivali argentati esaltano la muscolatura striata. Non sopporta più, deve alzarsi per galoppare verso un altro bar. L’impermeabile viola dorme ancora sul bancone, Jan Luc è alla consolle di vetro che spara ritmi psico hard a tutto gas. Entrano Villata e René.
La resa dei conti. Dall’alto della pedana Jan Luc osserva; il ragazzo è un sensitivo, avverte ancora la sottile angoscia, quella della sfera incandescente che frana dal cielo, ma non per lui.
Ariette non si è accorta di nulla, poggia i gomiti sul tavolino, la testa fra le mani.
René giunge alle sue spalle e le mormora all’orecchio: “Buon giorno Ariette, è l’una del mattino, come fai a dormire con tutto sto casino?” La donna si volta, René si scosta, aprendosi come un sipario sul protagonista: il Villata, la guarda con le mani poggiate sui fianchi, come un cowboy schifato, mastica gomma, capelli unti e arruffati, maglietta sudata.
“Eccolo baby, è arrivato il maschio dall’Area Metropolitana di Gemito, capitale amministrativa della Confederazione Italiana.
“Ciao Villata, dammi un bacio… se desideri informazioni sul movimento, di’ sì, altrimenti di’ no e goditi la musica.”
“Questa parla come un sistema invisibile di controllo”, pensa, mentre Ariette torna a voltargli la schiena. La sua rabbia ulcerativa si fa di secondo in secondo più grave, rilevando la calda accoglienza. E’ preso da una speranza identica ad un letargo mortale. Eppure è certo che lo ama, lo ha sempre amato, la colpa è del nirvan, avversario troppo sensuale.
“Ti sei fatta, eh?”, si siedono al tavolino con lei. “Non te la prendere, Ted. Lo sai che la nervocodeina mi succhia come un mostro dagli occhi giallastri. Ma è il massimo se la cucchi prima dell’Imax 3D.
Ted sbuffa: “Fai schifo!”
René ignora la carezzevole affermazione dell’amico, abbraccia le spalle di Ariette e le carezze teneramente i capelli.
“Lasciami stare, mezzo uomo.” René accusa il colpo, le labbra gli si serrano, formando un filo sottilissimo, guance vermiglie, occhi a palla, luccicanti.
Che sudiceria di donna. In questi momenti il Ted vorrebbe essere un bastardo senza scrupoli, ricco a palate di bit crediti da spargere ovunque e poi via, a Santo Domingo o a Tenerife, in un albergo con venti stelle, servito da personale di colore, possibilmente femminile e compiacente, e batida di cocco e mare, sole, pizza amore e tuppete, aragoste e casinò e abbronzatura, e perché no? sauna e vasca con idromassaggio… un buon caffé nero ti rimette al mondo: “Ehi capo, si può avere un doppio in tazza grande?”
Il cameriere acconsente, facendosi largo a spintoni fra la gente che balla e traballa sulle piste oscillanti sospese: popolo di zombie pencolanti.
Ma ora, a quaranta anni suonati, il gran quesito gli faceva pulsare il cervello, come una musica campionata all’infinito: tum, tum, tum, tam, tam, tum, la realtà, tà, tà, tà, no, no, no, non dovrebbe, dovrebbe, dovrebbe, esi-si-si-si-ste-re-re-re-re!
Era colpa della sposa, adesso avrebbe chiarito tutto, poi sarebbe sparito con un’identità modificata,
“Ariette, tagliamo la testa al toreador?”
“E tagliamola, Teodoro Villata! René… tu vedi di sgommare!”
“Ma certo, non ci tengo, figurati, sai cosa me ne frega dei fatti vostri.”
L’ometto esce di scena, parcheggiandosi al bancone del bar, su uno sgabello alto come il Kilimangiaro, che proprio si fatica tanto a salirci. L’unico libero.
“Allora, sei incinta?”
“Sembrerebbe. Ma è tutto tuo.”
“Cosa, cosa!? Sballato okay, ma lo so che non ti tocco il culo da un anno.”
“Cosa dici da un anno?”
“Yes baby, da quella sera al Lido di Venezia. Ti ho coperta di umidità e passione.”
Quando era pensato da quei pensieri, un po’ di tenerezza scassava la sua incoscienza.
“Tedoro, ce l’hai il Nirvan?! Dai, caliamocelo, sto male!”
“Reticente e stronza. Ti hanno rifilato il ruolo di femmina gravida e dici che il bambolo è mio.”
“Tipo, abbiamo fatto l’amore cinque mesi fa, quando sei venuto per Pasqua, che abbiamo mangiato la carbonara, le piadine, e ci siamo sbronzati come ciucci col lambrusco di Sorbara, non ti ricordi?”
“Il flashback mi dice… addormentato con la spada nella roccia. Sesso interrotto per magia.”
“Ma mi hai penetrata.”
“Sì, un po’, ma russando.”
Per qualche denso secondo, riascoltava le forme d’Ariette, morbide e calorifiche, materializzarsi fra le sue mani. Solo per qualche secondo: ormai il sesso era un affare d'assetto cerebrale, proprio come l’assetto delle quattro ruote, da fare una volta l’anno per non finire fuori strada. Una cantilena dell’impossibilità: niente nere, niente slave, niente travestiti, niente amiche occasionali delle amiche abituali, e neanche amiche abituali delle amiche occasionali, e soprattutto mai con le tipe fuori, che la prima cosa è “Cazzo c’hai del Nirvan?! Dai, caliamocelo!”
“Dai, ce l’hai del Nirvan? Caliamocelo!”
Ecco, appunto, insopportabile. Non voleva lasciarla, ma il prezzo era troppo alto. Il Villata era un rude fatalista, che poteva restare senza amore per mesi, anni, secoli, aspettando la giornalista di turno per farsi sbattere nel cesso di un auto grill.
Meglio ideare romantiche allucinazioni con Eliana, altro che secondo figlio. “Cazzo, sono le due è ora di andare!”
“Dove ci cacciamo adesso, Villa? Vengo anch’io.”
“Okay, sbracciamoci per il René che ci veda.”
“Ma ci portiamo dietro anche il fagotto? Ted, dobbiamo parlare, in un posto tranquillo.”
“Non c’è tempo adesso, domani.”
“Non tirarmi, va bene, andiamo, ma c’è da pagare: sganci tu amore?”
“Persuaso, se accettano la vecchia carta d’identità elettronica. Se no ciccia.”
“Dammi qua che vado io, conosco il padrone.”
La donna si allontana con la carta del Villata, passa vicino a René che sembra addormentato sul banco, lo sveglia, si scambiano qualche parola.
Il trio esce dal locale.
E’ proprio una serata piena di fumo. Ariette si accende un’altro spinello e specula, spidocchiando la sua storia: che noia! Sesso, droga e frustrazione. Fa un caldo scrosciante, le nuvole si potrebbero tagliare con un coltello ma non piove da tre ore, sente le gambe accavallate esaurirsi in movimenti oscillatori e il cranio screpolarsi dal dolore. La minigonna rossa è salita docilmente all’inguine, gli stivali argentati esaltano la muscolatura striata. Non sopporta più, deve alzarsi per galoppare verso un altro bar. L’impermeabile viola dorme ancora sul bancone, Jan Luc è alla consolle di vetro che spara ritmi psico hard a tutto gas. Entrano Villata e René.
La resa dei conti. Dall’alto della pedana Jan Luc osserva; il ragazzo è un sensitivo, avverte ancora la sottile angoscia, quella della sfera incandescente che frana dal cielo, ma non per lui.
Ariette non si è accorta di nulla, poggia i gomiti sul tavolino, la testa fra le mani.
René giunge alle sue spalle e le mormora all’orecchio: “Buon giorno Ariette, è l’una del mattino, come fai a dormire con tutto sto casino?” La donna si volta, René si scosta, aprendosi come un sipario sul protagonista: il Villata, la guarda con le mani poggiate sui fianchi, come un cowboy schifato, mastica gomma, capelli unti e arruffati, maglietta sudata.
“Eccolo baby, è arrivato il maschio dall’Area Metropolitana di Gemito, capitale amministrativa della Confederazione Italiana.
“Ciao Villata, dammi un bacio… se desideri informazioni sul movimento, di’ sì, altrimenti di’ no e goditi la musica.”
“Questa parla come un sistema invisibile di controllo”, pensa, mentre Ariette torna a voltargli la schiena. La sua rabbia ulcerativa si fa di secondo in secondo più grave, rilevando la calda accoglienza. E’ preso da una speranza identica ad un letargo mortale. Eppure è certo che lo ama, lo ha sempre amato, la colpa è del nirvan, avversario troppo sensuale.
“Ti sei fatta, eh?”, si siedono al tavolino con lei. “Non te la prendere, Ted. Lo sai che la nervocodeina mi succhia come un mostro dagli occhi giallastri. Ma è il massimo se la cucchi prima dell’Imax 3D.
Ted sbuffa: “Fai schifo!”
René ignora la carezzevole affermazione dell’amico, abbraccia le spalle di Ariette e le carezze teneramente i capelli.
“Lasciami stare, mezzo uomo.” René accusa il colpo, le labbra gli si serrano, formando un filo sottilissimo, guance vermiglie, occhi a palla, luccicanti.
Che sudiceria di donna. In questi momenti il Ted vorrebbe essere un bastardo senza scrupoli, ricco a palate di bit crediti da spargere ovunque e poi via, a Santo Domingo o a Tenerife, in un albergo con venti stelle, servito da personale di colore, possibilmente femminile e compiacente, e batida di cocco e mare, sole, pizza amore e tuppete, aragoste e casinò e abbronzatura, e perché no? sauna e vasca con idromassaggio… un buon caffé nero ti rimette al mondo: “Ehi capo, si può avere un doppio in tazza grande?”
Il cameriere acconsente, facendosi largo a spintoni fra la gente che balla e traballa sulle piste oscillanti sospese: popolo di zombie pencolanti.
Ma ora, a quaranta anni suonati, il gran quesito gli faceva pulsare il cervello, come una musica campionata all’infinito: tum, tum, tum, tam, tam, tum, la realtà, tà, tà, tà, no, no, no, non dovrebbe, dovrebbe, dovrebbe, esi-si-si-si-ste-re-re-re-re!
Era colpa della sposa, adesso avrebbe chiarito tutto, poi sarebbe sparito con un’identità modificata,
“Ariette, tagliamo la testa al toreador?”
“E tagliamola, Teodoro Villata! René… tu vedi di sgommare!”
“Ma certo, non ci tengo, figurati, sai cosa me ne frega dei fatti vostri.”
L’ometto esce di scena, parcheggiandosi al bancone del bar, su uno sgabello alto come il Kilimangiaro, che proprio si fatica tanto a salirci. L’unico libero.
“Allora, sei incinta?”
“Sembrerebbe. Ma è tutto tuo.”
“Cosa, cosa!? Sballato okay, ma lo so che non ti tocco il culo da un anno.”
“Cosa dici da un anno?”
“Yes baby, da quella sera al Lido di Venezia. Ti ho coperta di umidità e passione.”
Quando era pensato da quei pensieri, un po’ di tenerezza scassava la sua incoscienza.
“Tedoro, ce l’hai il Nirvan?! Dai, caliamocelo, sto male!”
“Reticente e stronza. Ti hanno rifilato il ruolo di femmina gravida e dici che il bambolo è mio.”
“Tipo, abbiamo fatto l’amore cinque mesi fa, quando sei venuto per Pasqua, che abbiamo mangiato la carbonara, le piadine, e ci siamo sbronzati come ciucci col lambrusco di Sorbara, non ti ricordi?”
“Il flashback mi dice… addormentato con la spada nella roccia. Sesso interrotto per magia.”
“Ma mi hai penetrata.”
“Sì, un po’, ma russando.”
Per qualche denso secondo, riascoltava le forme d’Ariette, morbide e calorifiche, materializzarsi fra le sue mani. Solo per qualche secondo: ormai il sesso era un affare d'assetto cerebrale, proprio come l’assetto delle quattro ruote, da fare una volta l’anno per non finire fuori strada. Una cantilena dell’impossibilità: niente nere, niente slave, niente travestiti, niente amiche occasionali delle amiche abituali, e neanche amiche abituali delle amiche occasionali, e soprattutto mai con le tipe fuori, che la prima cosa è “Cazzo c’hai del Nirvan?! Dai, caliamocelo!”
“Dai, ce l’hai del Nirvan? Caliamocelo!”
Ecco, appunto, insopportabile. Non voleva lasciarla, ma il prezzo era troppo alto. Il Villata era un rude fatalista, che poteva restare senza amore per mesi, anni, secoli, aspettando la giornalista di turno per farsi sbattere nel cesso di un auto grill.
Meglio ideare romantiche allucinazioni con Eliana, altro che secondo figlio. “Cazzo, sono le due è ora di andare!”
“Dove ci cacciamo adesso, Villa? Vengo anch’io.”
“Okay, sbracciamoci per il René che ci veda.”
“Ma ci portiamo dietro anche il fagotto? Ted, dobbiamo parlare, in un posto tranquillo.”
“Non c’è tempo adesso, domani.”
“Non tirarmi, va bene, andiamo, ma c’è da pagare: sganci tu amore?”
“Persuaso, se accettano la vecchia carta d’identità elettronica. Se no ciccia.”
“Dammi qua che vado io, conosco il padrone.”
La donna si allontana con la carta del Villata, passa vicino a René che sembra addormentato sul banco, lo sveglia, si scambiano qualche parola.
Il trio esce dal locale.