Brano 36
Villata si sentiva più tranquillo con la nuova identità; era persino disposto a riconoscere il figlio d’Ariette.
Nonostante mogli incinte, sparatorie, piramidi, egiziani e fuochi cosmici, fremeva di speranza. Ricordava perfettamente. Quella mattina era giovedì, il giorno dell’appuntamento fissato in sogno. Avrebbe camminato a piedi nudi sulla battigia con Eliana, mano nella mano? Idiozia.
"Eliana, Eliana, Eliana, non riesco a togliermela dalla testa", sussurrò arrancando verso Piazza Tripoli. “Non ti preoccupare, segui il tuo miraggio”, disse René, piazzandogli una manata possente sulle maniglie dell’amore.
“E’ l’unico modo per non impazzire. Devo convincermi che è solo un’allucinazione quel viso incorniciato dai capelli neri, lisci, lisci…"
“Vai al tuo rendez-vous; non diremo niente ad Ariette. E' meglio. Ci vediamo presto. Ti lascio la camera libera tutto il giorno… non si sa mai.
Ted raggiunse il Bar del bagnino 25 in anticipo. Si sedette nel dehòr, ordinò un chinotto, si accese una sigaretta, predisponendosi ad aspettare ore, sbirciando ragazze in topless, signore dalle forme indicibili e anziani con bimbi isterici sotto gli ombrelloni. Poi sarebbe tornato da Ariette e René risollevato e frustrato, pronto ad accettare la realtà.
Quando la vide camminare sulla spiaggia di lontano, pensò ad una straordinaria rassomiglianza: uno scherzo della percezione. Eppure quella ragazza sgambettava allegra e spedita verso di lui, sotto un cielo plumbeo, che non lasciava presagire una rivincita del sole.
Con il graduale mettersi a fuoco dell'immagine, i pensieri dell'uomo divennero sempre più indefiniti, trascinati da un vento imperioso verso il mare mosso, dominato dai soliti gagliardetti rossi sui pennoni bianchi.
Lanciò una rapida occhiata alla stella uncinata, che si ostinava a restare lì, nel cielo, rilucendo.
Quando Eliana gli fu davanti non riuscì più a pensare. Non aveva quarantacinque anni ma diciassette o diciotto. Per lei il tempo non era passato. La giovane indossava una tuta azzurra metallizzata che le fasciava il corpo esaltandone il rigoglio. I fianchi erano cinti da una larga fascia verde, punteggiata di borchie che parevano pulsanti. Ai piedi, stivaletti di vernice bianca senza tacchi, ai polsi grandi bracciali d'acciaio scintillante. I capelli lisci e neri scendevano sulle spalline dell'uniforme, creando un effetto inebriante. Niente trucco, viso pallidissimo, matita sugli occhi allungata verso i lati, un velato rossetto azzurro.
Ted si captò impresentabile dinanzi a tanta grazia marziale. Ebbe un flash, un’immagine proveniente dal passato… forse Dale Arden, l’amata di Flash Gordon.
Balbettò qualcosa d'incomprensibile, scostandole la sedia con galanteria. ‘Buone maniere’ non era il suo ramo, ma in quel momento percepiva un mix di timore per la divisa e d’ammirazione per la femmina. Le baciò la mano. "Tutto bene?" s'informò lei.
"Tranquilla, divento pazzo e me ne frego. Come stanno gli ufficiali della flotta spaziale? Quando voglio so far sfoggio di ironia. Scusa… che ore sono?"
"Le tre del pomeriggio."
"Di che anno?"
"Ma che domande?! 2000 e oltre. E' giovedì 23 Luglio 2000 e oltre!
"Sei puntuale, hai accettato di vedermi solo trenta anni dopo, Eliana La Manna, terza B. Fai l’astronauta?!"
Lei gli regalò un'occhiata assiderante: "Sei sempre stato eccentrico, materialista, realista. Non credi ai tuoi sogni e non credi ai tuoi occhi, non credi proprio a niente!"
"Figurati, credo a tutto, innanzi tutto credo d’essere pazzo, ma me ne sbatto..."
"Io non sono quella che ricordi", affermò lapidaria.
"No, scusa, tu sei proprio la stessa! Vado fuori, ma fuori eh?!”, tracimò il Villata, portandosi in alterazione. “Spiegami com'è possibile che per te il tempo non sia passato e come abbiamo fatto a prendere appuntamento in sogno o in quello che era, insomma. Ti assicuro che non mi drogo da anni."
Fra Ted ed Eliana calò un silenzio rapido. Pareva che qualcosa di solido ma invisibile levitasse a pochi centimetri dalle loro teste. Poi la voce di un cameriere in carne ed ossa disse un "desidera?" segnato da un beffardo sorriso da jolly. Stava ammirando dall'alto l'aderentissima mise d’Eliana, tentando di sbucciarla con gli occhi. "Possiamo mangiare? A scopare ci penseremo dopo" disse la ragazza. Il servitore rise suino, senza vergogna.
"Potrebbe consigliarci qualcosa?", disse Ted.
Pilotati dal jolly, pretesero: "Ostriche Cezanne" (ostriche) e "Salade Van Gogh", (miscela d’erbe e insalate provenzali). Da bere, decisero per un infuso freddo di verbena e menta piperita, detto "Soufle du Vent". La merenda procedette senza intoppi. Le prelibatezze adombrarono lo scopo dell'incontro ma giunti al dolce, il ritmo rallentò e tornò la riflessione, agevolata da una fitta pioggerella gelata: "Ci risiamo con la doccia, d’altronde è la stagione delle piogge. Senti, che ne dici se andiamo in albergo per stare più tranquilli?", propose Ted.
Eliana accettò.
All’Hotel Kennedy la ragazza non si curò minimamente delle cicche e del puzzo di sudore e lo invitò a prenderla sulle ginocchia. Si sedette con difficoltà sul letto, a causa dell'estrema aderenza del vestito. Poi baciò Ted sulla fronte, spettinandolo con una mano.
"Ti voglio bene", sussurrò il Villata.
"Vorrei divorarti di baci" soffiò la donna. Ted non comprese l'improvviso appetito. Avevano mangiato abbastanza e lei era stata così lontana, dal primo boccone a quell'istante...
"Ti voglio, sì, voglio amarti e salvarti " mormorò lei, bollente come una fonduta svizzera. Ted aveva capito bene. Si calò nel ruolo di crostino, abbrustolendo di desiderio. Eliana iniziò a baciarlo con violenza. "Non male", ebbe il tempo di pensare Villata, "non male, non male". Da una vescica nascosta nella bocca della donna scaturì un liquido insapore, che si mescolò alla saliva. Fu un bacio lunghissimo, davvero eterno.
Villata si sentiva più tranquillo con la nuova identità; era persino disposto a riconoscere il figlio d’Ariette.
Nonostante mogli incinte, sparatorie, piramidi, egiziani e fuochi cosmici, fremeva di speranza. Ricordava perfettamente. Quella mattina era giovedì, il giorno dell’appuntamento fissato in sogno. Avrebbe camminato a piedi nudi sulla battigia con Eliana, mano nella mano? Idiozia.
"Eliana, Eliana, Eliana, non riesco a togliermela dalla testa", sussurrò arrancando verso Piazza Tripoli. “Non ti preoccupare, segui il tuo miraggio”, disse René, piazzandogli una manata possente sulle maniglie dell’amore.
“E’ l’unico modo per non impazzire. Devo convincermi che è solo un’allucinazione quel viso incorniciato dai capelli neri, lisci, lisci…"
“Vai al tuo rendez-vous; non diremo niente ad Ariette. E' meglio. Ci vediamo presto. Ti lascio la camera libera tutto il giorno… non si sa mai.
Ted raggiunse il Bar del bagnino 25 in anticipo. Si sedette nel dehòr, ordinò un chinotto, si accese una sigaretta, predisponendosi ad aspettare ore, sbirciando ragazze in topless, signore dalle forme indicibili e anziani con bimbi isterici sotto gli ombrelloni. Poi sarebbe tornato da Ariette e René risollevato e frustrato, pronto ad accettare la realtà.
Quando la vide camminare sulla spiaggia di lontano, pensò ad una straordinaria rassomiglianza: uno scherzo della percezione. Eppure quella ragazza sgambettava allegra e spedita verso di lui, sotto un cielo plumbeo, che non lasciava presagire una rivincita del sole.
Con il graduale mettersi a fuoco dell'immagine, i pensieri dell'uomo divennero sempre più indefiniti, trascinati da un vento imperioso verso il mare mosso, dominato dai soliti gagliardetti rossi sui pennoni bianchi.
Lanciò una rapida occhiata alla stella uncinata, che si ostinava a restare lì, nel cielo, rilucendo.
Quando Eliana gli fu davanti non riuscì più a pensare. Non aveva quarantacinque anni ma diciassette o diciotto. Per lei il tempo non era passato. La giovane indossava una tuta azzurra metallizzata che le fasciava il corpo esaltandone il rigoglio. I fianchi erano cinti da una larga fascia verde, punteggiata di borchie che parevano pulsanti. Ai piedi, stivaletti di vernice bianca senza tacchi, ai polsi grandi bracciali d'acciaio scintillante. I capelli lisci e neri scendevano sulle spalline dell'uniforme, creando un effetto inebriante. Niente trucco, viso pallidissimo, matita sugli occhi allungata verso i lati, un velato rossetto azzurro.
Ted si captò impresentabile dinanzi a tanta grazia marziale. Ebbe un flash, un’immagine proveniente dal passato… forse Dale Arden, l’amata di Flash Gordon.
Balbettò qualcosa d'incomprensibile, scostandole la sedia con galanteria. ‘Buone maniere’ non era il suo ramo, ma in quel momento percepiva un mix di timore per la divisa e d’ammirazione per la femmina. Le baciò la mano. "Tutto bene?" s'informò lei.
"Tranquilla, divento pazzo e me ne frego. Come stanno gli ufficiali della flotta spaziale? Quando voglio so far sfoggio di ironia. Scusa… che ore sono?"
"Le tre del pomeriggio."
"Di che anno?"
"Ma che domande?! 2000 e oltre. E' giovedì 23 Luglio 2000 e oltre!
"Sei puntuale, hai accettato di vedermi solo trenta anni dopo, Eliana La Manna, terza B. Fai l’astronauta?!"
Lei gli regalò un'occhiata assiderante: "Sei sempre stato eccentrico, materialista, realista. Non credi ai tuoi sogni e non credi ai tuoi occhi, non credi proprio a niente!"
"Figurati, credo a tutto, innanzi tutto credo d’essere pazzo, ma me ne sbatto..."
"Io non sono quella che ricordi", affermò lapidaria.
"No, scusa, tu sei proprio la stessa! Vado fuori, ma fuori eh?!”, tracimò il Villata, portandosi in alterazione. “Spiegami com'è possibile che per te il tempo non sia passato e come abbiamo fatto a prendere appuntamento in sogno o in quello che era, insomma. Ti assicuro che non mi drogo da anni."
Fra Ted ed Eliana calò un silenzio rapido. Pareva che qualcosa di solido ma invisibile levitasse a pochi centimetri dalle loro teste. Poi la voce di un cameriere in carne ed ossa disse un "desidera?" segnato da un beffardo sorriso da jolly. Stava ammirando dall'alto l'aderentissima mise d’Eliana, tentando di sbucciarla con gli occhi. "Possiamo mangiare? A scopare ci penseremo dopo" disse la ragazza. Il servitore rise suino, senza vergogna.
"Potrebbe consigliarci qualcosa?", disse Ted.
Pilotati dal jolly, pretesero: "Ostriche Cezanne" (ostriche) e "Salade Van Gogh", (miscela d’erbe e insalate provenzali). Da bere, decisero per un infuso freddo di verbena e menta piperita, detto "Soufle du Vent". La merenda procedette senza intoppi. Le prelibatezze adombrarono lo scopo dell'incontro ma giunti al dolce, il ritmo rallentò e tornò la riflessione, agevolata da una fitta pioggerella gelata: "Ci risiamo con la doccia, d’altronde è la stagione delle piogge. Senti, che ne dici se andiamo in albergo per stare più tranquilli?", propose Ted.
Eliana accettò.
All’Hotel Kennedy la ragazza non si curò minimamente delle cicche e del puzzo di sudore e lo invitò a prenderla sulle ginocchia. Si sedette con difficoltà sul letto, a causa dell'estrema aderenza del vestito. Poi baciò Ted sulla fronte, spettinandolo con una mano.
"Ti voglio bene", sussurrò il Villata.
"Vorrei divorarti di baci" soffiò la donna. Ted non comprese l'improvviso appetito. Avevano mangiato abbastanza e lei era stata così lontana, dal primo boccone a quell'istante...
"Ti voglio, sì, voglio amarti e salvarti " mormorò lei, bollente come una fonduta svizzera. Ted aveva capito bene. Si calò nel ruolo di crostino, abbrustolendo di desiderio. Eliana iniziò a baciarlo con violenza. "Non male", ebbe il tempo di pensare Villata, "non male, non male". Da una vescica nascosta nella bocca della donna scaturì un liquido insapore, che si mescolò alla saliva. Fu un bacio lunghissimo, davvero eterno.