Brano 32
Cercarono di dormire qualche ora, ma Ted non riusciva a prendere sonno, perché Garibaldi iniziò a segare alberi alti trenta metri, seduto in poltrona con la pistola tra le mani. Dopo mezz’ora il Villata smise di contare le pecorelle e piombò nelle profondità psichiche.
Provai una strana sensazione di fusione: fui attirato dietro alle palpebre serrate del giovane, quasi fossimo la stessa persona. Non saprei descrivere meglio questa sensazione. Iniziarono a balenare strani geroglifici mai visti prima, diversi dalle lettere ebraiche. Ed ecco la griglia energetica: via maestra che porta alla sorgente sacra per elevarci al mondo della trascendenza.
Il mondo ruotava nello spazio attorno al sole. Il suo asse correva fra i poli dell’attuale monte Everest a Nord, e dell’altopiano Boliviano a sud. Pensò ad Eliana e si chiese se fosse sul punto di incontrarla di nuovo nelle profondità dello spazio.
Riaprì gli occhi senza spaventarsi. Ormai era avvezzo a simili esperienze. Tutto sembrava reale. Era perfettamente cosciente. Si trovava in un enorme salone con il pavimento di marmo, circondato di colonne. Vide un trono d’oro sul quale sedeva un uomo vestito regalmente. Eliana era al suo fianco e lo guardava amorevole: “Vieni aventi, te l’avevo detto che ci saremo rivisti."
”Dove sono?”
“Nella sala del tempio d’Atlantide, e quello che hai visto era, o meglio, è il mondo di circa 700 mila anni fa.
"Bestialità, che sogno assurdo, se esisti davvero perché non ci incontriamo che mi spieghi tutto a voce?” disse aspro, per poi sbalordire: "Certo che ci incontreremo, ma non subito. Giovedì pomeriggio alle tre al bar dei Bagni n°25?”
Accettò. Preso da un furioso attacco di risa, con gli occhi spalancanti ma senza averli aperti fisicamente, si rifugiò sotto le coperte considerando le possibili relazioni fra Rimini e Atlantide. Poi svenne cadendo nel nulla, domandandosi che senso avesse, morire di sonno in un sogno.
Ted si ridestò al rintoccare meticoloso di una pendola, che rifaceva il verso al Big Ben. Si girò varie volte nel letto, poi aprì gli occhi. Si rese conto che qualcosa non funzionava, ricordava perfettamente Atlantide, ma accanto a lui non dormiva certo Eliana, bensì una donna di mezza età. Si sedette sul letto guardandosi attorno: si trovava forse in un museo? Di stanze da letto fatte così ne aveva viste solo in qualche foto degli anni ’70 del secolo precedente. La sua bisnonna viveva in una casa simile: mobili di legno che riproducevano un improbabile stile rinascimentale, tendoni pesanti alle finestre, uno scrittorio in un angolo, un orribile lampadario dal quale pendevano centinaia di gocce di cristallo. Si alzò barcollando per raggiungere il comò: si guardò nello specchio e trattenne un grido. Davanti a lui il faccione incartapecorito di un sessantenne: occhiaie, capelli grigi, doppio mento. Il ragazzo guardava il passato attraverso i miei sensi. Iniziavo a capire: il poveretto, invece, iniziò a temere per la sua integrità mentale. Cercai di restare in silenzio, in un angolo della nostra mente, temporeggiando, nella speranza di trovare una soluzione a quell’incidente di percorso che significava la condivisione di un corpo.
Il sistema invisibile di controllo della casa di Ariette cinguettò la sveglia. Temperatura elevata, atmosfera brumosa, altissima concentrazione di raggi ultravioletti, per il resto tutto okay. La voce suadente cedette il posto alla radio. Gli Uranian Black graffiarono l’aria con un frenetico psico drum e un improvviso attacco di nausea iniziò ad aggredirle lo stomaco.
“Avrò dormito sì e no quattro ore e il tempo fa schifo” pensò la donna nel letto sfatto da un mese. Si voltò su un fianco e il suo braccio, nel tentativo di stirarsi, sbatté sul faccione molliccio del René. Ariette aprì gli occhi e urlò per lo spavento. Aveva le braccia coperte di lividi.
“Renè, René, svegliati! Che cavolo mi è successo?!” L’ometto non rispose, limitandosi a gracchiare un incomprensibile: - … dieci minuti, solo dieci…
“René, cosa ci fai qui? Dov’è mio marito?!”
Lui si voltò verso la parte sinistra del letto, poggiando la mano sui piedi di una Kalì danzante sul cadavere di Shiva.
"René!....oh, insomma, adesso ti sveglio io!" Ariette si alzò decisa e andò in cucina, aprì un rubinetto, e si udì un abbondante e protratto scroscio d’acqua. Tossì furiosamente tornando in camera da letto, il catarro le assediava la gola. Poi il diluvio: scaraventò sulla faccia di René l’acqua raccolta in una catinella.
L’uomo aprì gli occhi dissestato: “Okay, adesso sono sveglio.”
“Qui è l’Apocalisse e lui dorme!” Tossì di nuovo, ripetutamente.
“Ariette… dovresti fumare di meno.”
"Fatti gli alcaloidi tuoi! Che freddo... eppure ci sono ventitre gradi.”
Renè si sedette sul letto, si stiracchiò e si grattò i capelli arruffati.
“Cosa mi hai fatto sta notte? Sono piena di cianotici! Bel modo di fare l’amore, ne hai approfittato che non ci sono mai stata e ti sei preso gli interessi, perché ero storta persa!...”
“Vergognati di pensare quel che hai detto. Altro che stupro, ti ho parato il culo e ti ho salvato la vita. L’hai buttato un occhio in giro?”
Ariette si alzò. Tremava, zoppicava e le gambe le facevano male. Aprì meglio le gonfie palpebre e guardò la cucina: sedie ribaltate, pentole e stoviglie sparse, piatti rotti. Nello studio la scrivania era stata spostata e sul pavimento giaceva svenuto il computer, accanto a centinaia di libri, penne, dossier aperti, disegni, floppy disk, c.d. In salotto, i cocci di un vaso, quadri con le cornici sventrate e fiori secchi sparpagliati ovunque. Sembrava che fosse passato un tornado.
Dopo la sparatoria, Renè s’era infilato sotto le coperte vestito e aveva sonnecchiato un paio d’ore. La casa era fredda. Si alzò e per andare in salotto si cacciò nell’accappatoio rosa di Ariette, di quattro taglie più grande della sua, portando con nobiltà il lungo strascico.
“Sta notte è iniziata la discussione armata, tesoro, prima in Hotel, poi qui da te. Sono entrato in casa alle quattro e mi sono accorto che la porta era aperta. Tu non soffrivi, te ne stavi sul letto, coperta di lividi. Credo che fossero in due, devo averne ferito uno con la pistola elettronica, ha perso molto sangue…”
“Non mi ricordo niente… chi erano, cosa cercavano?”, borbottò spaventata Ariette.
“Hai dei dubbi? Polizia Informatica o Indici Neri. E stavano cercando… questo!”
Renè le mostro trionfante il portachiavi con la piramide.
“E fanno un’accozzaglia di caos per un portachiavi? A cosa serve?”
“A qualcosa di molto interessante, se tutti lo vogliono.”
“Te l’ha dato il Villata?”
“Sì e no. Dobbiamo scoprire dove può portarci.”
“Oh mio Dio, sono finita, in un giallo di serie b!”
“Non piangere, ti preparo un bel Caffé Romagna Mia… la bomba che fa piazza pulita delle cellule morte… di sonno!" ululò René, dirigendosi in cucina. Ariette lo seguì frignando: “René, René… dove sarà finito mio marito, è in pericolo, me lo sento…”
“Sta meglio di noi, tesoro, è al sicuro in hotel. Ha dormito con una specie di poliziotto. E’ in buone mani, per ora.”
Ariette gridò incazzata: “Cebion, tira su ste veneziane!” Il mega computer obbedì: alla finestra comparve un muro di nebbia fitta.
Isabella Neumann finì di truccarsi e scosse la testa. "Sono in ritardo! In stramaledetto ritardo! Il trucco era perfetto, raccolse le masserizie e riassunse mentalmente il piano operativo, dominato dal vero motivo per il quale presiedeva la conferenza “Le Frontiere del Nuovo Mondo”. Fu colta da un fulmineo attacco d’ansia, e iniziò a rovistare nella borsa, sparpagliò tutto sul letto della suite: alloggiava al Grand Hotel di Rimini. Doveva uscire entro cinque minuti, ma il portachiavi era sparito! Non era mai arrivata in ritardo ad un appuntamento di lavoro, ma quello era un rendez-vous eccezionale, con il futuro capo del mondo… e quella scrofa di piramiduzza non si trovava, merda! Frugò nelle valigie, tra libri e vestiti, scandagliò tutte le tasche disponibili: niente, nada de nada! Ripensò all’incontro con Ted, ricordò la tempestosa sarabanda e fu certa d’esser stata sodomizzata due volte, prima dal ragazzo poi da se stessa. L’aveva perduto là, in quel cesso; era certa d’averlo sistemato nella borsetta, sprangato con la lampo in una tasca interna, quel maledetto mistero. Se almeno le avessero detto a cosa serviva!
Ci teneva alla sua dignità di giornalista collaborazionista. Era orgogliosa del suo business segreto per la Popol Vuh Press.
Guadagnava cifre insensate e si era costruita un’immagine di cortigiana affidabile. Se agiva correttamente, non soltanto otteneva il rispetto dei colleghi, ma anche quello della gente che frequentava; così evitava i giudizi negativi e le offese gratuite. L'immagine è importante per una spia. La vita è come una collana di perle che infili ora dopo ora: se il filo diventa fragile sei fregata. Adesso altro che scalfire una rappresentazione congegnata con grandi sacrifici! Quelli se la sarebbero mangiata!
Cercarono di dormire qualche ora, ma Ted non riusciva a prendere sonno, perché Garibaldi iniziò a segare alberi alti trenta metri, seduto in poltrona con la pistola tra le mani. Dopo mezz’ora il Villata smise di contare le pecorelle e piombò nelle profondità psichiche.
Provai una strana sensazione di fusione: fui attirato dietro alle palpebre serrate del giovane, quasi fossimo la stessa persona. Non saprei descrivere meglio questa sensazione. Iniziarono a balenare strani geroglifici mai visti prima, diversi dalle lettere ebraiche. Ed ecco la griglia energetica: via maestra che porta alla sorgente sacra per elevarci al mondo della trascendenza.
Il mondo ruotava nello spazio attorno al sole. Il suo asse correva fra i poli dell’attuale monte Everest a Nord, e dell’altopiano Boliviano a sud. Pensò ad Eliana e si chiese se fosse sul punto di incontrarla di nuovo nelle profondità dello spazio.
Riaprì gli occhi senza spaventarsi. Ormai era avvezzo a simili esperienze. Tutto sembrava reale. Era perfettamente cosciente. Si trovava in un enorme salone con il pavimento di marmo, circondato di colonne. Vide un trono d’oro sul quale sedeva un uomo vestito regalmente. Eliana era al suo fianco e lo guardava amorevole: “Vieni aventi, te l’avevo detto che ci saremo rivisti."
”Dove sono?”
“Nella sala del tempio d’Atlantide, e quello che hai visto era, o meglio, è il mondo di circa 700 mila anni fa.
"Bestialità, che sogno assurdo, se esisti davvero perché non ci incontriamo che mi spieghi tutto a voce?” disse aspro, per poi sbalordire: "Certo che ci incontreremo, ma non subito. Giovedì pomeriggio alle tre al bar dei Bagni n°25?”
Accettò. Preso da un furioso attacco di risa, con gli occhi spalancanti ma senza averli aperti fisicamente, si rifugiò sotto le coperte considerando le possibili relazioni fra Rimini e Atlantide. Poi svenne cadendo nel nulla, domandandosi che senso avesse, morire di sonno in un sogno.
Ted si ridestò al rintoccare meticoloso di una pendola, che rifaceva il verso al Big Ben. Si girò varie volte nel letto, poi aprì gli occhi. Si rese conto che qualcosa non funzionava, ricordava perfettamente Atlantide, ma accanto a lui non dormiva certo Eliana, bensì una donna di mezza età. Si sedette sul letto guardandosi attorno: si trovava forse in un museo? Di stanze da letto fatte così ne aveva viste solo in qualche foto degli anni ’70 del secolo precedente. La sua bisnonna viveva in una casa simile: mobili di legno che riproducevano un improbabile stile rinascimentale, tendoni pesanti alle finestre, uno scrittorio in un angolo, un orribile lampadario dal quale pendevano centinaia di gocce di cristallo. Si alzò barcollando per raggiungere il comò: si guardò nello specchio e trattenne un grido. Davanti a lui il faccione incartapecorito di un sessantenne: occhiaie, capelli grigi, doppio mento. Il ragazzo guardava il passato attraverso i miei sensi. Iniziavo a capire: il poveretto, invece, iniziò a temere per la sua integrità mentale. Cercai di restare in silenzio, in un angolo della nostra mente, temporeggiando, nella speranza di trovare una soluzione a quell’incidente di percorso che significava la condivisione di un corpo.
Il sistema invisibile di controllo della casa di Ariette cinguettò la sveglia. Temperatura elevata, atmosfera brumosa, altissima concentrazione di raggi ultravioletti, per il resto tutto okay. La voce suadente cedette il posto alla radio. Gli Uranian Black graffiarono l’aria con un frenetico psico drum e un improvviso attacco di nausea iniziò ad aggredirle lo stomaco.
“Avrò dormito sì e no quattro ore e il tempo fa schifo” pensò la donna nel letto sfatto da un mese. Si voltò su un fianco e il suo braccio, nel tentativo di stirarsi, sbatté sul faccione molliccio del René. Ariette aprì gli occhi e urlò per lo spavento. Aveva le braccia coperte di lividi.
“Renè, René, svegliati! Che cavolo mi è successo?!” L’ometto non rispose, limitandosi a gracchiare un incomprensibile: - … dieci minuti, solo dieci…
“René, cosa ci fai qui? Dov’è mio marito?!”
Lui si voltò verso la parte sinistra del letto, poggiando la mano sui piedi di una Kalì danzante sul cadavere di Shiva.
"René!....oh, insomma, adesso ti sveglio io!" Ariette si alzò decisa e andò in cucina, aprì un rubinetto, e si udì un abbondante e protratto scroscio d’acqua. Tossì furiosamente tornando in camera da letto, il catarro le assediava la gola. Poi il diluvio: scaraventò sulla faccia di René l’acqua raccolta in una catinella.
L’uomo aprì gli occhi dissestato: “Okay, adesso sono sveglio.”
“Qui è l’Apocalisse e lui dorme!” Tossì di nuovo, ripetutamente.
“Ariette… dovresti fumare di meno.”
"Fatti gli alcaloidi tuoi! Che freddo... eppure ci sono ventitre gradi.”
Renè si sedette sul letto, si stiracchiò e si grattò i capelli arruffati.
“Cosa mi hai fatto sta notte? Sono piena di cianotici! Bel modo di fare l’amore, ne hai approfittato che non ci sono mai stata e ti sei preso gli interessi, perché ero storta persa!...”
“Vergognati di pensare quel che hai detto. Altro che stupro, ti ho parato il culo e ti ho salvato la vita. L’hai buttato un occhio in giro?”
Ariette si alzò. Tremava, zoppicava e le gambe le facevano male. Aprì meglio le gonfie palpebre e guardò la cucina: sedie ribaltate, pentole e stoviglie sparse, piatti rotti. Nello studio la scrivania era stata spostata e sul pavimento giaceva svenuto il computer, accanto a centinaia di libri, penne, dossier aperti, disegni, floppy disk, c.d. In salotto, i cocci di un vaso, quadri con le cornici sventrate e fiori secchi sparpagliati ovunque. Sembrava che fosse passato un tornado.
Dopo la sparatoria, Renè s’era infilato sotto le coperte vestito e aveva sonnecchiato un paio d’ore. La casa era fredda. Si alzò e per andare in salotto si cacciò nell’accappatoio rosa di Ariette, di quattro taglie più grande della sua, portando con nobiltà il lungo strascico.
“Sta notte è iniziata la discussione armata, tesoro, prima in Hotel, poi qui da te. Sono entrato in casa alle quattro e mi sono accorto che la porta era aperta. Tu non soffrivi, te ne stavi sul letto, coperta di lividi. Credo che fossero in due, devo averne ferito uno con la pistola elettronica, ha perso molto sangue…”
“Non mi ricordo niente… chi erano, cosa cercavano?”, borbottò spaventata Ariette.
“Hai dei dubbi? Polizia Informatica o Indici Neri. E stavano cercando… questo!”
Renè le mostro trionfante il portachiavi con la piramide.
“E fanno un’accozzaglia di caos per un portachiavi? A cosa serve?”
“A qualcosa di molto interessante, se tutti lo vogliono.”
“Te l’ha dato il Villata?”
“Sì e no. Dobbiamo scoprire dove può portarci.”
“Oh mio Dio, sono finita, in un giallo di serie b!”
“Non piangere, ti preparo un bel Caffé Romagna Mia… la bomba che fa piazza pulita delle cellule morte… di sonno!" ululò René, dirigendosi in cucina. Ariette lo seguì frignando: “René, René… dove sarà finito mio marito, è in pericolo, me lo sento…”
“Sta meglio di noi, tesoro, è al sicuro in hotel. Ha dormito con una specie di poliziotto. E’ in buone mani, per ora.”
Ariette gridò incazzata: “Cebion, tira su ste veneziane!” Il mega computer obbedì: alla finestra comparve un muro di nebbia fitta.
Isabella Neumann finì di truccarsi e scosse la testa. "Sono in ritardo! In stramaledetto ritardo! Il trucco era perfetto, raccolse le masserizie e riassunse mentalmente il piano operativo, dominato dal vero motivo per il quale presiedeva la conferenza “Le Frontiere del Nuovo Mondo”. Fu colta da un fulmineo attacco d’ansia, e iniziò a rovistare nella borsa, sparpagliò tutto sul letto della suite: alloggiava al Grand Hotel di Rimini. Doveva uscire entro cinque minuti, ma il portachiavi era sparito! Non era mai arrivata in ritardo ad un appuntamento di lavoro, ma quello era un rendez-vous eccezionale, con il futuro capo del mondo… e quella scrofa di piramiduzza non si trovava, merda! Frugò nelle valigie, tra libri e vestiti, scandagliò tutte le tasche disponibili: niente, nada de nada! Ripensò all’incontro con Ted, ricordò la tempestosa sarabanda e fu certa d’esser stata sodomizzata due volte, prima dal ragazzo poi da se stessa. L’aveva perduto là, in quel cesso; era certa d’averlo sistemato nella borsetta, sprangato con la lampo in una tasca interna, quel maledetto mistero. Se almeno le avessero detto a cosa serviva!
Ci teneva alla sua dignità di giornalista collaborazionista. Era orgogliosa del suo business segreto per la Popol Vuh Press.
Guadagnava cifre insensate e si era costruita un’immagine di cortigiana affidabile. Se agiva correttamente, non soltanto otteneva il rispetto dei colleghi, ma anche quello della gente che frequentava; così evitava i giudizi negativi e le offese gratuite. L'immagine è importante per una spia. La vita è come una collana di perle che infili ora dopo ora: se il filo diventa fragile sei fregata. Adesso altro che scalfire una rappresentazione congegnata con grandi sacrifici! Quelli se la sarebbero mangiata!