Brano 26
La sera riminese era sempre stata buona consigliera per Paolo Garibaldi. Rimessosi a nuovo, uscì dall’Hotel Kennedy per affrontare il mondo. Gli si aprivano due strade per Marina Centro. Scelse quella più lunga, a destra, per salutare l’Arco d’Augusto. Eccolo il trionfatore e il pacificatore. Laggiù il dymon guerriero celebra la sua vittoria, guardando il Marecchia. Il patto fra Celti e Romani, la Città Vecchia che non tramonta, chiusa al traffico, ingioiellata: Ariminum!
Allungò il passo, deciso ad arrivare alla fascia dei bagnini telematizzati percorrendo viale Tripoli. La via marziale, la strada dei tentati fasti coloniali. Ogni strada che vi sfocia è un torrente che ricorda grandi battaglie: Adua, Tobruc e… Cufra.
Anche questa volta passo davanti a casa, che cosa buffa.
Navigazione senza bussola e senza mappe: barra a dritta fra villette e antiche casette del 1950 progettate da geometri. Il sottopasso ferroviario, poche centinaia di metri e ci siamo. “No, non mi aiutano… i ricordi, la nostalgia, i buoni sentimenti che mi avete insegnato non servono più! I soldi! I soldi! I mondial crediti per non pensare più al denaro; sto diventando come questi predoni, la bontà è una medicina con troppe controindicazioni”. Prende un gin liscio al bancone del Caffé Azzurro, camerieri in giacca bianca e papillon nero, tutto regolare, pensa: ”Li conservano in formalina, d’altra parte è un caffé storico.”
Esce e si accende una sigaretta ammirando piazzale Tripoli, brulicante di mondo, multivisori e telecamere. Direzione Marina Centro, tra grattacieli ed hotel modernissimi, tutti uguali.
Ed io, Domenico Bernardini, ho il cuore trafitto. Cerco disperatamente i cinema all’aperto e le mie sale da ballo preferite, l’Hembassy Club, l’Oriental Club, il dancing in stile moresco che portava lontano la mia fantasia quand’ero bambino. dove ho conosciuto Luisa, dove ci siamo scambiati il primo bacio.
Il bar vicino alla fiera ha un carattere intensamente fumoso e periferico, Paolo capisce che lì non potrà bere un whisky irlandese. Eppure l gusto perverso di un brandy italiano scadente lo mette su una buona pista.
La ragazza è una specie di hostess, indossa una divisa verde elegante, sul cui taschino campeggiava il logo della Popol Vuh Press. Cosa ci fa mezzanotte una donna sola in quella bottiglieria? Forse è in pausa, e quindi nel capannone si sta lavorando, oppure appartiene al corpo di sorveglianza notturna.
Saltò i preliminari: “Mi scusi, posso offrirle un drink?”
Lei, seduta al bancone, esibì qualcosa tra la smorfia e il sorriso: “Giusto non perdere tempo a questa ora di notte?! Io, gin con limone” rispose, non riuscendo a celare un marcato accento straniero.
“Non è italiana, tedesca? No, forse slava. Polacca?”
“Ucraina.”
“Kijev!”
“No, mio paese piccolo, Borodijanka, bello e povero, ultimo di classifica della Federazione Nazionale Socialista.”
Quegli occhi chiari e profondi lo affascinavano, ma un’aspra inquietudine gli impediva di guardarli troppo a lungo. C’era qualcosa di pericoloso in quello sguardo. Una sensualità glaciale, pronta a inturgidire per esplodere come un lampo sul cherosene.
“Perché mi guardi strano?”
“Mi scusi, la sua bellezza è ipnotica.”
“Tutti romantici italiani. Permetta che mi presenti, Julia Melich.”
“Piacere, Paolo Garibaldi.”
Quella voce forte, quella stretta di mano precisa, le spalle possenti e ben tornite non lasciano dubbi, Julia non è una donna. L’ultima sorpresa che Paolo avrebbe pensato di trovare sul suo cammino.
“Io anticipo te, so cosa pensa. Io non travestito ma transessuale” disse. “Tu non guardarmi con faccia di compassione, a me piace così, tutti attributi visibili e disponibili.”
“Toccato. E’ buono il drink?”
“Buono okay.”
Garibaldi pensò di dover accelerare i tempi: “Lavori in zona?”
“Nell’agenzia stampa di fronte, in capannone fiera.”
Difficile credere che un giovane essere, dal sesso incerto, conduca una vita più o meno normale, ma Paolo non volle insistere, prostituzione o no, doveva agganciare Julia per avere qualche informazione.
“Julia, come mai fai la guardia? E’ un mestiere pericoloso.”
“Tu fai troppe domande, tu sbirro.”
Caspita, si vedeva ancora, nonostante i corsi di mimetizzazione e spontaneità.
“Dà noia fumo, signor poliziotto?”
“No, anzi, offrimene una che le ho finite, però non insistere, non sono un piedipiatti.”
“Come vuoi, gendarme… finito di fumare io lavorare, questa è solo pausa turno, e tu cosa fare?” chiese Julia.
“Oh, io sono arrivato oggi in Riviera. Andrò in giro nella notte a curiosare”. Sospirò, tracannando l’ultimo sorso, nel locale strapieno di fumo e odori antichi, come la balordaggine degli emarginati.
Lessi i pensieri di Paolo, che lampeggiavano come rivelatori automatici rossi: pericolo! pericolo! pericolo! Gli sembrò che una parte della sua mente iniziasse a ribellarsi, minacciandolo di chissà quale drammatica conseguenza, se avesse osato indagare quella bizzarra vicenda. Erano velate minacce di morte. Doveva imporsi un controllo totale dell’intelletto, mai sperimentato prima. Doloroso, difficile... non bastavano i mille congegni che sorvegliavano tutto e tutti, adesso gli parve che potessero avere accesso diretto... alla sua anima, per condizionarne ragione e sentimenti. Ma non aveva dubbi: capire, agire, schierarsi con la giustizia a costo della vita.
La sera riminese era sempre stata buona consigliera per Paolo Garibaldi. Rimessosi a nuovo, uscì dall’Hotel Kennedy per affrontare il mondo. Gli si aprivano due strade per Marina Centro. Scelse quella più lunga, a destra, per salutare l’Arco d’Augusto. Eccolo il trionfatore e il pacificatore. Laggiù il dymon guerriero celebra la sua vittoria, guardando il Marecchia. Il patto fra Celti e Romani, la Città Vecchia che non tramonta, chiusa al traffico, ingioiellata: Ariminum!
Allungò il passo, deciso ad arrivare alla fascia dei bagnini telematizzati percorrendo viale Tripoli. La via marziale, la strada dei tentati fasti coloniali. Ogni strada che vi sfocia è un torrente che ricorda grandi battaglie: Adua, Tobruc e… Cufra.
Anche questa volta passo davanti a casa, che cosa buffa.
Navigazione senza bussola e senza mappe: barra a dritta fra villette e antiche casette del 1950 progettate da geometri. Il sottopasso ferroviario, poche centinaia di metri e ci siamo. “No, non mi aiutano… i ricordi, la nostalgia, i buoni sentimenti che mi avete insegnato non servono più! I soldi! I soldi! I mondial crediti per non pensare più al denaro; sto diventando come questi predoni, la bontà è una medicina con troppe controindicazioni”. Prende un gin liscio al bancone del Caffé Azzurro, camerieri in giacca bianca e papillon nero, tutto regolare, pensa: ”Li conservano in formalina, d’altra parte è un caffé storico.”
Esce e si accende una sigaretta ammirando piazzale Tripoli, brulicante di mondo, multivisori e telecamere. Direzione Marina Centro, tra grattacieli ed hotel modernissimi, tutti uguali.
Ed io, Domenico Bernardini, ho il cuore trafitto. Cerco disperatamente i cinema all’aperto e le mie sale da ballo preferite, l’Hembassy Club, l’Oriental Club, il dancing in stile moresco che portava lontano la mia fantasia quand’ero bambino. dove ho conosciuto Luisa, dove ci siamo scambiati il primo bacio.
Il bar vicino alla fiera ha un carattere intensamente fumoso e periferico, Paolo capisce che lì non potrà bere un whisky irlandese. Eppure l gusto perverso di un brandy italiano scadente lo mette su una buona pista.
La ragazza è una specie di hostess, indossa una divisa verde elegante, sul cui taschino campeggiava il logo della Popol Vuh Press. Cosa ci fa mezzanotte una donna sola in quella bottiglieria? Forse è in pausa, e quindi nel capannone si sta lavorando, oppure appartiene al corpo di sorveglianza notturna.
Saltò i preliminari: “Mi scusi, posso offrirle un drink?”
Lei, seduta al bancone, esibì qualcosa tra la smorfia e il sorriso: “Giusto non perdere tempo a questa ora di notte?! Io, gin con limone” rispose, non riuscendo a celare un marcato accento straniero.
“Non è italiana, tedesca? No, forse slava. Polacca?”
“Ucraina.”
“Kijev!”
“No, mio paese piccolo, Borodijanka, bello e povero, ultimo di classifica della Federazione Nazionale Socialista.”
Quegli occhi chiari e profondi lo affascinavano, ma un’aspra inquietudine gli impediva di guardarli troppo a lungo. C’era qualcosa di pericoloso in quello sguardo. Una sensualità glaciale, pronta a inturgidire per esplodere come un lampo sul cherosene.
“Perché mi guardi strano?”
“Mi scusi, la sua bellezza è ipnotica.”
“Tutti romantici italiani. Permetta che mi presenti, Julia Melich.”
“Piacere, Paolo Garibaldi.”
Quella voce forte, quella stretta di mano precisa, le spalle possenti e ben tornite non lasciano dubbi, Julia non è una donna. L’ultima sorpresa che Paolo avrebbe pensato di trovare sul suo cammino.
“Io anticipo te, so cosa pensa. Io non travestito ma transessuale” disse. “Tu non guardarmi con faccia di compassione, a me piace così, tutti attributi visibili e disponibili.”
“Toccato. E’ buono il drink?”
“Buono okay.”
Garibaldi pensò di dover accelerare i tempi: “Lavori in zona?”
“Nell’agenzia stampa di fronte, in capannone fiera.”
Difficile credere che un giovane essere, dal sesso incerto, conduca una vita più o meno normale, ma Paolo non volle insistere, prostituzione o no, doveva agganciare Julia per avere qualche informazione.
“Julia, come mai fai la guardia? E’ un mestiere pericoloso.”
“Tu fai troppe domande, tu sbirro.”
Caspita, si vedeva ancora, nonostante i corsi di mimetizzazione e spontaneità.
“Dà noia fumo, signor poliziotto?”
“No, anzi, offrimene una che le ho finite, però non insistere, non sono un piedipiatti.”
“Come vuoi, gendarme… finito di fumare io lavorare, questa è solo pausa turno, e tu cosa fare?” chiese Julia.
“Oh, io sono arrivato oggi in Riviera. Andrò in giro nella notte a curiosare”. Sospirò, tracannando l’ultimo sorso, nel locale strapieno di fumo e odori antichi, come la balordaggine degli emarginati.
Lessi i pensieri di Paolo, che lampeggiavano come rivelatori automatici rossi: pericolo! pericolo! pericolo! Gli sembrò che una parte della sua mente iniziasse a ribellarsi, minacciandolo di chissà quale drammatica conseguenza, se avesse osato indagare quella bizzarra vicenda. Erano velate minacce di morte. Doveva imporsi un controllo totale dell’intelletto, mai sperimentato prima. Doloroso, difficile... non bastavano i mille congegni che sorvegliavano tutto e tutti, adesso gli parve che potessero avere accesso diretto... alla sua anima, per condizionarne ragione e sentimenti. Ma non aveva dubbi: capire, agire, schierarsi con la giustizia a costo della vita.