Brano 11
Raggiunta la sacrestia del Duomo, Paolo Garibaldi scende nel cunicolo che dalla manica corta porta all’interrato del campanile, dall’altra ai resti della basilica romanica e al sottosuolo di Palazzo Reale. Il corpo di un prete giace davanti ad un muro di mattoni pieni, a metà di una stretta e corta galleria cieca, derivante dal corridoio principale.
E’ morto semplicemente, nel suo abito grigio, con una croce argentea appuntata sul bavero ed una camicia bianca abbottonata.
“Paolo, sei nei casini, sta volta…” esordisce, l'uomo, abbracciandolo con indolenza. Poi lo fissa per un istante con occhi languidi da bracco affamato.
Il commissario è un coraggioso, ma attraversa lunghi periodi di depressione. Forse a causa del suo metro e sessanta di statura, forse per l’incipiente calvizie, forse per i suoi natali di provincia.
Paolo socchiuse gli occhi, in segno di rispettoso imbarazzo, poggiandosi alla parete di mattoni: “Com’è morto?”
“In modo atroce. Per il distacco del cranio provocato da una doppia rotazione dello stesso sulla spina dorsale.”
“Assassinio?”
“Ti sfido a suicidarti in questo modo. Se ci riesci ti pago la pizza, ogni sera, per un anno, ma senza birra.”
“Spiritoso.”
“Paolo, se mi fanno secco non portatemi al cimitero, mi sentirei solo. Bruciatemi e seppellitemi in ufficio, nel vaso di peonie davanti alla finestra, così prendo un po’ di luce."
“Devi smetterla di compensare la calvizie con l’umorismo!... se ne occupa la mobile?” disse Garibaldi.
“No, omicidi. Lo ha trovato il vescovo e mi ha chiamato.”
“Rilevamenti?”
“Esame sommario. La morte risale alle tre e mezza del mattino. Il distacco del cranio è stato provocato da un movimento netto, senza pause, una doppia torsione a trecentosessanta gradi.
“Una forza muscolare impensabile per un essere umano. Non ci saresti riuscito neppure tu, nonostante le tre ore di palestra giornaliere.”
In effetti, Peressi ha un corpo possente, una specie di Nembo Kid in miniatura.
“Non fare del sarcasmo. Un vero culturista diventa forte col sollevamento libri: a parte questo, l’azione è stata imprevista e fulminea, la colluttazione minima e limitata la fuoriuscita di sangue. Guarda qui! Lo hanno trascinato per qualche metro, dal fondo del cunicolo cieco alla galleria principale, mollandolo sull’angolo.
“E’ un’assurdità.”
“E me lo dici così? Secondo te perché l’hanno spostato da quel corto budello? Dove volevano portarlo? Cosa ci faceva qui?”
“E’ un mistero.”
“Grazie Paolo, sei sempre di grande aiuto.”
Percorrono la breve distanza che li divide dal fondo del cunicolo cieco, il commissario batte qualche pugno rabbioso sul muro e grida stizzito: “Lo vedi?! E’ un muro pieno, suono sordo, non ci sono aperture!” Ritorna sui suoi passi per ripetere una domanda molesta. “Garibaldi, dimmi… cosa ci faceva lì davanti Padre Pereira?”
Paolo non commenta, si china sul cadavere e osserva il volto con attenzione.
“Ho sentito dire che in questi sotterranei, ci sarebbero strani antri frequentati da maghi, che potrebbero essere tre metri più in là, dietro al muro…” afferma repentino Peressi.
Paolo non vuole sentire: “Cosa mi dici dell’esame tossicologico?”
“Lo vedi il cadavere?!”
“Non sono cieco, Oscar.”
“Già, non si è mosso, lui non ha fretta: per l’esame tossicologico e il dna dovrai aspettare qualche ora, mentre io dovrò aspettare una tua risposta ab eterno.”
“Scusa, sono stanco, non volevo offenderti con il silenzio. Il fatto è….”
“Il fatto è?…”
“Non sono autorizzato a parlarti di questi antri, come li chiami tu. Devi interrogare il Vescovo, solo lui, oltre a Padre Pereira, sa come entrare. Posso dirti che bisogna oltrepassare tre muri paralleli, in apparenza senza aperture. Per aprire le tre porte segrete è necessario conoscere una combinazione astrologica e numerologica legata al giorno della settimana, cioè toccare in successione i mattoni che formano il quadrato magico del pianeta che regge quel giorno, calcolato non secondo il nostro calendario solare, ma secondo quello egiziano antico.”
“Complicato mi pare, non fa niente, me lo spiegherà sua eminenza. Per quanto riguarda le tracce, non ce ne sono sul lastrico di pietra, ma dove il fondo è sconnesso ed emergono tratti di terra battuta, ecco delle impronte che devono appartenere ad un essere umano di proporzioni gigantesche, del peso di almeno 250 chili e dell’altezza di due metri e cinquanta, due metri e sessanta. Guarda qui, lungo la striatura lasciata dalle scarpe del cadavere sulla terra. Vieni: ti mostro le altre.”
Ritornano, per un breve tratto, verso San Lorenzo; poi il commissario svolta a destra per attraversare un arco, alto forse un metro e venti. Si trovano in un’ampia galleria di mattoni che si perde nel buio.
“Conosci questa galleria, Paolo?”
“Per forza, sono il responsabile della Sicurezza, ma non l’ho mai percorsa, se non per un breve tratto. E’ fuggito di qui?”
“Sembrerebbe di sì, secondo le impronte.”
Percorrono circa cinquecento metri per incontrare altre tracce impresse sulla terra umida di un piccolo pantano.
Ad occhio la larghezza del tunnel è di sette metri, più due marciapiedi di mezzo metro circa, volta a botte, altezza al centro quattro metri, due corsie di pietra per lo scorrimento delle ruote e il selciato; lungo le pareti, distanziati di venticinque metri, arrugginiti sostegni per le fiaccole. Al controllo della bussola risulta che la direttrice è nord-ovest. Percorrono altri trecento metri ed incontrano altre tracce. Paolo le osserva con estrema cura, illuminandole con la sua torcia. “Sono davvero strane” dice, “ehi, Oscar, guarda queste come sono nitide, l’ampiezza delle suole è davvero inusitata, sarà un cinquanta.”
Proseguono sino ad un bivio. S’inoltrano nel ramo che corre verso ovest, immaginando Maria Cristina di Savoia in una cupa notte del 1600, correre in carrozza sotto terra verso il Castello di Rivoli. Li ferma la mancanza d'aria e la paura di crolli. Buio.
Raggiunta la sacrestia del Duomo, Paolo Garibaldi scende nel cunicolo che dalla manica corta porta all’interrato del campanile, dall’altra ai resti della basilica romanica e al sottosuolo di Palazzo Reale. Il corpo di un prete giace davanti ad un muro di mattoni pieni, a metà di una stretta e corta galleria cieca, derivante dal corridoio principale.
E’ morto semplicemente, nel suo abito grigio, con una croce argentea appuntata sul bavero ed una camicia bianca abbottonata.
“Paolo, sei nei casini, sta volta…” esordisce, l'uomo, abbracciandolo con indolenza. Poi lo fissa per un istante con occhi languidi da bracco affamato.
Il commissario è un coraggioso, ma attraversa lunghi periodi di depressione. Forse a causa del suo metro e sessanta di statura, forse per l’incipiente calvizie, forse per i suoi natali di provincia.
Paolo socchiuse gli occhi, in segno di rispettoso imbarazzo, poggiandosi alla parete di mattoni: “Com’è morto?”
“In modo atroce. Per il distacco del cranio provocato da una doppia rotazione dello stesso sulla spina dorsale.”
“Assassinio?”
“Ti sfido a suicidarti in questo modo. Se ci riesci ti pago la pizza, ogni sera, per un anno, ma senza birra.”
“Spiritoso.”
“Paolo, se mi fanno secco non portatemi al cimitero, mi sentirei solo. Bruciatemi e seppellitemi in ufficio, nel vaso di peonie davanti alla finestra, così prendo un po’ di luce."
“Devi smetterla di compensare la calvizie con l’umorismo!... se ne occupa la mobile?” disse Garibaldi.
“No, omicidi. Lo ha trovato il vescovo e mi ha chiamato.”
“Rilevamenti?”
“Esame sommario. La morte risale alle tre e mezza del mattino. Il distacco del cranio è stato provocato da un movimento netto, senza pause, una doppia torsione a trecentosessanta gradi.
“Una forza muscolare impensabile per un essere umano. Non ci saresti riuscito neppure tu, nonostante le tre ore di palestra giornaliere.”
In effetti, Peressi ha un corpo possente, una specie di Nembo Kid in miniatura.
“Non fare del sarcasmo. Un vero culturista diventa forte col sollevamento libri: a parte questo, l’azione è stata imprevista e fulminea, la colluttazione minima e limitata la fuoriuscita di sangue. Guarda qui! Lo hanno trascinato per qualche metro, dal fondo del cunicolo cieco alla galleria principale, mollandolo sull’angolo.
“E’ un’assurdità.”
“E me lo dici così? Secondo te perché l’hanno spostato da quel corto budello? Dove volevano portarlo? Cosa ci faceva qui?”
“E’ un mistero.”
“Grazie Paolo, sei sempre di grande aiuto.”
Percorrono la breve distanza che li divide dal fondo del cunicolo cieco, il commissario batte qualche pugno rabbioso sul muro e grida stizzito: “Lo vedi?! E’ un muro pieno, suono sordo, non ci sono aperture!” Ritorna sui suoi passi per ripetere una domanda molesta. “Garibaldi, dimmi… cosa ci faceva lì davanti Padre Pereira?”
Paolo non commenta, si china sul cadavere e osserva il volto con attenzione.
“Ho sentito dire che in questi sotterranei, ci sarebbero strani antri frequentati da maghi, che potrebbero essere tre metri più in là, dietro al muro…” afferma repentino Peressi.
Paolo non vuole sentire: “Cosa mi dici dell’esame tossicologico?”
“Lo vedi il cadavere?!”
“Non sono cieco, Oscar.”
“Già, non si è mosso, lui non ha fretta: per l’esame tossicologico e il dna dovrai aspettare qualche ora, mentre io dovrò aspettare una tua risposta ab eterno.”
“Scusa, sono stanco, non volevo offenderti con il silenzio. Il fatto è….”
“Il fatto è?…”
“Non sono autorizzato a parlarti di questi antri, come li chiami tu. Devi interrogare il Vescovo, solo lui, oltre a Padre Pereira, sa come entrare. Posso dirti che bisogna oltrepassare tre muri paralleli, in apparenza senza aperture. Per aprire le tre porte segrete è necessario conoscere una combinazione astrologica e numerologica legata al giorno della settimana, cioè toccare in successione i mattoni che formano il quadrato magico del pianeta che regge quel giorno, calcolato non secondo il nostro calendario solare, ma secondo quello egiziano antico.”
“Complicato mi pare, non fa niente, me lo spiegherà sua eminenza. Per quanto riguarda le tracce, non ce ne sono sul lastrico di pietra, ma dove il fondo è sconnesso ed emergono tratti di terra battuta, ecco delle impronte che devono appartenere ad un essere umano di proporzioni gigantesche, del peso di almeno 250 chili e dell’altezza di due metri e cinquanta, due metri e sessanta. Guarda qui, lungo la striatura lasciata dalle scarpe del cadavere sulla terra. Vieni: ti mostro le altre.”
Ritornano, per un breve tratto, verso San Lorenzo; poi il commissario svolta a destra per attraversare un arco, alto forse un metro e venti. Si trovano in un’ampia galleria di mattoni che si perde nel buio.
“Conosci questa galleria, Paolo?”
“Per forza, sono il responsabile della Sicurezza, ma non l’ho mai percorsa, se non per un breve tratto. E’ fuggito di qui?”
“Sembrerebbe di sì, secondo le impronte.”
Percorrono circa cinquecento metri per incontrare altre tracce impresse sulla terra umida di un piccolo pantano.
Ad occhio la larghezza del tunnel è di sette metri, più due marciapiedi di mezzo metro circa, volta a botte, altezza al centro quattro metri, due corsie di pietra per lo scorrimento delle ruote e il selciato; lungo le pareti, distanziati di venticinque metri, arrugginiti sostegni per le fiaccole. Al controllo della bussola risulta che la direttrice è nord-ovest. Percorrono altri trecento metri ed incontrano altre tracce. Paolo le osserva con estrema cura, illuminandole con la sua torcia. “Sono davvero strane” dice, “ehi, Oscar, guarda queste come sono nitide, l’ampiezza delle suole è davvero inusitata, sarà un cinquanta.”
Proseguono sino ad un bivio. S’inoltrano nel ramo che corre verso ovest, immaginando Maria Cristina di Savoia in una cupa notte del 1600, correre in carrozza sotto terra verso il Castello di Rivoli. Li ferma la mancanza d'aria e la paura di crolli. Buio.