Brano 31
“Andiamo a casa, Ariette, sono stordito, è un gran casino.”
“Ted, tu non puoi entrare, non sei protocollato per l’accesso in casa mia. Il sistema invisibile pretenderebbe le tue generalità.”
“Niente casa”, disse René. “Ariette è incinta e tu sei latitante. Il primo posto dove ti cercheranno è quello.”
“Io posso dormire nell’appartamento di Julia", disse Ariette. "Ho la chiave e il sistema invisibile di controllo mi riconosce come ‘amica’. Julia ha voluto abilitarmi.”
“Bene, ti accompagniamo, poi andremo a sognare in albergo.”
René pilotò Ted verso la salvezza, l’Hotel Kennedy, l’unico in città che ancora potesse accoglierlo accettando pagamenti bancomat e carte di credito. Firmarono il registro ed il portiere di notte li salutò militarmente, portando alla fronte l’indice ed il medio divaricati, in segno di vittoria. Ascensore. Terzo piano. Si avviarono a passi felpati verso la stanza. La porta si aprì di scatto, mentre Villata aveva ancora la mano posata sulla maniglia. René si mise gli occhiali a raggi infrarossi, estrasse dalla fondina un revolver laser, spinse da parte l’amico e si precipitò nel buio. Il Villata seguì, ma una violenta mazzata lo colpì alle spalle. La figura in ombra vide un raggio rosso dipingersi spedito sulla sua fronte, fra gli occhi. Il tempo viaggiava frontale, a decimi di secondo, senza spazi per la riflessione. Due vampate accesero di fuoco la tappezzeria, lo sconosciuto si produsse in un ardito doppio salto carpiato, sfondò la finestra della stanza e si buttò nel vuoto. Si rialzò e fuggì nel vicolo sottostante, veloce come un ghepardo. “Scampato pericolo. Per fortuna ci sono cose che non si dimenticano”, disse René accendendo la luce.
Ted lo guardò sconvolto, proteggendosi la testa fra le braccia, raggomitolato in un angolo, e con un filo di voce: “Ti credevo un poveretto.”
“La resistenza non avrebbe potuto affidarti ad uno migliore. L’abito non fa il nano. L’arte del combattimento te la ficcano in testa nei campi di addestramento, devi difenderti da assalti improvvisi, è tutto a tue spese, perché se non impari, la festa finisce presto, caro Ted.”
Un attimo dopo qualcuno bussò sulla porta della stanza, che era rimasta spalancata. René si voltò mentre aiutava Ted a rialzarsi. Lo sguardo di Garibaldi si distese lentamente sulla faccia del nano per poi incollarsi su quella del Villata.
"C’è bisogno di aiuto?” disse.
“Tutto a posto” rispose René.
Con un gesto fulmineo Paolo gli strappò la pistola dalle mani: “E questa a cosa serve? Volevi uccidere il ragazzo, mezzo uomo?”
C'era un'afa assassina. Da boccheggiare.
Per un attimo fu tentato di puntargliela sulla fronte, si allentò il nodo della cravatta: “Adesso, da bravo, riordini le idee e le incolli per bene sulla lingua. Cosa è successo qui dentro?”
“Chi sei? Cosa cavolo vuoi?” disse il Villata, ritornando in posizione eretta.
“Diciamo che sono uno sbirro… buono. Non obbligatemi ad usare le mani forti"
"Questa notte c'è parecchia gente in giro a cui piace usarle”, disse René sarcastico, “poco fa abbiamo sparato ad uno, che come te, non sapeva dove andare a dormire.”
Garibaldi abbassò il cannone e si sedette su una sedia. “Okay, ma adesso fate i bravi e svuotate le tasche."
"D'accordo”, disse René, “tanto comandi tu.”
“Sono un tiranno evoluto; se siete regolari dopo facciamo due chiacchiere socialdemocratiche.”
Li perquisì da capo a piedi, non restavano che gli slip… niente d’interessante, tranne… quel portachiavi con la piramide.”
“E questo? L’ho già visto da qualche parte… seguitemi senza fare storie, o vi trasformo in uomini meccanizzati su sedia a rotelle”, grugnì Paolo, con l’arma ben direzionata sulle loro gambe.
“Ma i vestiti?” osò il Villata.
“Non fare il difficile”, protestò René, “tanto a quest’ora chi vuoi che ci veda”
“L’uomo migliore… l’arte del combattimento… penoso…”, bisbiglio fra i denti il Villata.
Paolo li incoraggiò a seguirlo in camera sua, accese il computer portatile e infilò un dischetto nel lettore. Era il filmato di poche ore prima. Il sospetto divenne certezza: quella era la piramide rubata.
“Adesso cantate, teppisti. Scommetto che arrivate da Gemito, area Torino.”
“Lui, io sono di Rivazzurra”, disse René.
“Come fai a saperlo?”, chiese Ted.
“Poco importa, siete sospettati di omicidio.”
“Tu sei fuori di testa.”
“Dove lo avete rubato questo?”
“L’ho trovato, amico, nel cesso di un autogrill sull’autostrada”, grugni il Villata, mentre in testa riprese a pulsargli la solita musica ossessionante: la realtà-non-dovrebbe-esistere-tum, tum, tum, tam, tam, tum, la realtà, tà, tà, tà, no, no, no, non dovrebbe, dovrebbe…
Paolo cedette alla stanchezza e si accasciò sul letto, con il revolver penzolante in mano: “Mi arrendo, ho la pistola dalla parte del manico, ma tanto dove potrei portarvi… okay, raccontami la tua versione.”
Ted e René si guardarono interdetti, già si vedevano dietro le sbarre in un presidio della polizia informatica, invece il bellicoso cercava cooperazione. Non era del Nuovo Ordine, meglio però andar giù di prudenza. Il Villata sbiascicò qualche frase sconnessa sull’incontro con Isabella al bar dell’autogrill.
“Interessante”, disse Paolo, non nascondendo inquietudine. “Sei certo che fosse Isabella Neumann? La conosci bene?”
“L’avevo soltanto vista sul multivisore, sui giornali, ma adesso, non per vantarmi, posso dire di conoscerla più che bene, in profondità… direi…”
Ted riprese il rapporto dai fattacci della toilette. Raccontò l’amplesso, senza entrare troppo nei particolari. Paolo divenne smorto, livido, rabbioso, furente, si alzò di scatto e iniziò a prender a pugni il Villata, che sorpreso non reagì, finendo steso sul pavimento per la seconda volta, con il naso sanguinante. René cercò di placare la rissa con tutta la sua prestanza fisica, ma si beccò uno sganassone portentoso che lo spedì a sedere in poltrona. Paolo si bloccò in mezzo alla stanza, tirato come un palo. Digrignava i denti, le dita strette in due pugni angosciati.
“Bastardo! Ti sei fatto mia moglie!”, urlò con quanto fiato aveva in gola. “Aveva qualcosa di strano ultimamente, quella puttana! Ma se proprio volete stare insieme, io vi riduco a una poltiglia di carne e ossa che nemmeno i cani ci pisciano sopra!”
“Calmati, pataccone, cosa ne può il Ted se quella è tua moglie?!”
“Ha ragione René, non volevo farti un torto, non sapevo neanche che esisti.”
“Beh, adesso lo sai!...”
Paolo cercò di calmare i nervi e riprese a ragionare. Quel miserabile, lì, sul pavimento, lo odiava, ma se non raccontava delle palle, era stata Isabella a mettergli le corna col primo venuto: chissà quante volte si era concessa della pause godi e fuggi strada facendo. Puttana e basta, ecco tutto. Si raffreddò e il settore razionale del cervello fu nuovamente in grado analizzare e mettere in relazione gli eventi: omicidio, furto, sua moglie, partenza improvvisa, toilette, Villata, piramide… non poteva essere l’assassina, non aveva la forza per spezzare il collo di Padre Pereira, ma era coinvolta fino al… collo. Aveva sposato una tizia che non conosceva affatto, una balorda dalla doppia vita.
“Che si fa?” chiese René. “Perché non ci racconti di te?”
Si scambiarono dati anagrafici, biografie, nozioni, elementi e dettagli che chiarirono la reciproca posizione in trincea. Che cosa fare della piramide?
“L’hanno rubata a te”, disse il nano, “ma potrebbe servire alla resistenza…”
“La resistenza!...” commentò velenoso Garibaldi, “vorrei proprio incontrarli questi spettri che si aggirano per il mondo, capaci di mettere in crisi il Sistema Invisibile di Controllo.”
“Dai tempo al tempo… il cicisbeo, qui, potrebbe fare il doppio gioco, vero Ted?”
“Per me…” disse il Villata, “io non voglio più saperne di quell’arnese che fa venire mal di testa, mi ha solo procurato guai: un bernoccolo sulla fronte, gente che vuole spararmi e tu che mi prendi a pugni. Tienitela sta piramide del cazzo!”
“Siamo d’accordo allora, la prendo io. Ritrovo i frammenti di metallo spaziale e poi consegno tutto al Vescovo."
“Ma bravo”, disse René, “sarebbe una carognata grossa come la Torre Bionica di Kuala Lumpur!”
Erano le tre del mattino, le frasi si accavallavano, i ruoli s’invertivano, le parole non riuscivano a dare ordine al caos.
Paolo, sempre con il revolver in mano, si trovò nella ridicola condizione di subire un interrogatorio quando le domande avrebbe dovuto farle lui.
“René lasciamogliela sta piramide” disse Ted, “non sappiano neanche a cosa serve, pensiamo a salvare la pelle e la mente.”
“Forse avete ragione, non deve cadere nelle mani sbagliate”, suggerì Paolo, contraddicendo se stesso.
“Concordo”, disse René, “dobbiamo decidere una strategia comune, basata su un rapporto di fiducia e partire all’attacco!”
“Ma io… io devo incontrare il mago delle stelle, per cambiare identità”, frignò il Villata.
Ted riassunse la sua storia di latitante e Paolo non sembrò stupirsi. Quante volte aveva fantasticato sul modo migliore per fregare il nuovo ordine mondiale entrando in clandestinità?!
“Se non riconsegno la piramide… anch’io avrò bisogno di una nuova identità”, sospirò Paolo.
“Tutte le persone libere dovranno nascondersi cambiando personaggio”, sentenziò René e riprese: “Adesso riposate. Io vado da Ariette per accertarmi che tutto proceda. Domattina si va in laboratorio da Hank Wesselman, per far analizzare questa roba e per la nuova identità di Ted.”
“Andiamo a casa, Ariette, sono stordito, è un gran casino.”
“Ted, tu non puoi entrare, non sei protocollato per l’accesso in casa mia. Il sistema invisibile pretenderebbe le tue generalità.”
“Niente casa”, disse René. “Ariette è incinta e tu sei latitante. Il primo posto dove ti cercheranno è quello.”
“Io posso dormire nell’appartamento di Julia", disse Ariette. "Ho la chiave e il sistema invisibile di controllo mi riconosce come ‘amica’. Julia ha voluto abilitarmi.”
“Bene, ti accompagniamo, poi andremo a sognare in albergo.”
René pilotò Ted verso la salvezza, l’Hotel Kennedy, l’unico in città che ancora potesse accoglierlo accettando pagamenti bancomat e carte di credito. Firmarono il registro ed il portiere di notte li salutò militarmente, portando alla fronte l’indice ed il medio divaricati, in segno di vittoria. Ascensore. Terzo piano. Si avviarono a passi felpati verso la stanza. La porta si aprì di scatto, mentre Villata aveva ancora la mano posata sulla maniglia. René si mise gli occhiali a raggi infrarossi, estrasse dalla fondina un revolver laser, spinse da parte l’amico e si precipitò nel buio. Il Villata seguì, ma una violenta mazzata lo colpì alle spalle. La figura in ombra vide un raggio rosso dipingersi spedito sulla sua fronte, fra gli occhi. Il tempo viaggiava frontale, a decimi di secondo, senza spazi per la riflessione. Due vampate accesero di fuoco la tappezzeria, lo sconosciuto si produsse in un ardito doppio salto carpiato, sfondò la finestra della stanza e si buttò nel vuoto. Si rialzò e fuggì nel vicolo sottostante, veloce come un ghepardo. “Scampato pericolo. Per fortuna ci sono cose che non si dimenticano”, disse René accendendo la luce.
Ted lo guardò sconvolto, proteggendosi la testa fra le braccia, raggomitolato in un angolo, e con un filo di voce: “Ti credevo un poveretto.”
“La resistenza non avrebbe potuto affidarti ad uno migliore. L’abito non fa il nano. L’arte del combattimento te la ficcano in testa nei campi di addestramento, devi difenderti da assalti improvvisi, è tutto a tue spese, perché se non impari, la festa finisce presto, caro Ted.”
Un attimo dopo qualcuno bussò sulla porta della stanza, che era rimasta spalancata. René si voltò mentre aiutava Ted a rialzarsi. Lo sguardo di Garibaldi si distese lentamente sulla faccia del nano per poi incollarsi su quella del Villata.
"C’è bisogno di aiuto?” disse.
“Tutto a posto” rispose René.
Con un gesto fulmineo Paolo gli strappò la pistola dalle mani: “E questa a cosa serve? Volevi uccidere il ragazzo, mezzo uomo?”
C'era un'afa assassina. Da boccheggiare.
Per un attimo fu tentato di puntargliela sulla fronte, si allentò il nodo della cravatta: “Adesso, da bravo, riordini le idee e le incolli per bene sulla lingua. Cosa è successo qui dentro?”
“Chi sei? Cosa cavolo vuoi?” disse il Villata, ritornando in posizione eretta.
“Diciamo che sono uno sbirro… buono. Non obbligatemi ad usare le mani forti"
"Questa notte c'è parecchia gente in giro a cui piace usarle”, disse René sarcastico, “poco fa abbiamo sparato ad uno, che come te, non sapeva dove andare a dormire.”
Garibaldi abbassò il cannone e si sedette su una sedia. “Okay, ma adesso fate i bravi e svuotate le tasche."
"D'accordo”, disse René, “tanto comandi tu.”
“Sono un tiranno evoluto; se siete regolari dopo facciamo due chiacchiere socialdemocratiche.”
Li perquisì da capo a piedi, non restavano che gli slip… niente d’interessante, tranne… quel portachiavi con la piramide.”
“E questo? L’ho già visto da qualche parte… seguitemi senza fare storie, o vi trasformo in uomini meccanizzati su sedia a rotelle”, grugnì Paolo, con l’arma ben direzionata sulle loro gambe.
“Ma i vestiti?” osò il Villata.
“Non fare il difficile”, protestò René, “tanto a quest’ora chi vuoi che ci veda”
“L’uomo migliore… l’arte del combattimento… penoso…”, bisbiglio fra i denti il Villata.
Paolo li incoraggiò a seguirlo in camera sua, accese il computer portatile e infilò un dischetto nel lettore. Era il filmato di poche ore prima. Il sospetto divenne certezza: quella era la piramide rubata.
“Adesso cantate, teppisti. Scommetto che arrivate da Gemito, area Torino.”
“Lui, io sono di Rivazzurra”, disse René.
“Come fai a saperlo?”, chiese Ted.
“Poco importa, siete sospettati di omicidio.”
“Tu sei fuori di testa.”
“Dove lo avete rubato questo?”
“L’ho trovato, amico, nel cesso di un autogrill sull’autostrada”, grugni il Villata, mentre in testa riprese a pulsargli la solita musica ossessionante: la realtà-non-dovrebbe-esistere-tum, tum, tum, tam, tam, tum, la realtà, tà, tà, tà, no, no, no, non dovrebbe, dovrebbe…
Paolo cedette alla stanchezza e si accasciò sul letto, con il revolver penzolante in mano: “Mi arrendo, ho la pistola dalla parte del manico, ma tanto dove potrei portarvi… okay, raccontami la tua versione.”
Ted e René si guardarono interdetti, già si vedevano dietro le sbarre in un presidio della polizia informatica, invece il bellicoso cercava cooperazione. Non era del Nuovo Ordine, meglio però andar giù di prudenza. Il Villata sbiascicò qualche frase sconnessa sull’incontro con Isabella al bar dell’autogrill.
“Interessante”, disse Paolo, non nascondendo inquietudine. “Sei certo che fosse Isabella Neumann? La conosci bene?”
“L’avevo soltanto vista sul multivisore, sui giornali, ma adesso, non per vantarmi, posso dire di conoscerla più che bene, in profondità… direi…”
Ted riprese il rapporto dai fattacci della toilette. Raccontò l’amplesso, senza entrare troppo nei particolari. Paolo divenne smorto, livido, rabbioso, furente, si alzò di scatto e iniziò a prender a pugni il Villata, che sorpreso non reagì, finendo steso sul pavimento per la seconda volta, con il naso sanguinante. René cercò di placare la rissa con tutta la sua prestanza fisica, ma si beccò uno sganassone portentoso che lo spedì a sedere in poltrona. Paolo si bloccò in mezzo alla stanza, tirato come un palo. Digrignava i denti, le dita strette in due pugni angosciati.
“Bastardo! Ti sei fatto mia moglie!”, urlò con quanto fiato aveva in gola. “Aveva qualcosa di strano ultimamente, quella puttana! Ma se proprio volete stare insieme, io vi riduco a una poltiglia di carne e ossa che nemmeno i cani ci pisciano sopra!”
“Calmati, pataccone, cosa ne può il Ted se quella è tua moglie?!”
“Ha ragione René, non volevo farti un torto, non sapevo neanche che esisti.”
“Beh, adesso lo sai!...”
Paolo cercò di calmare i nervi e riprese a ragionare. Quel miserabile, lì, sul pavimento, lo odiava, ma se non raccontava delle palle, era stata Isabella a mettergli le corna col primo venuto: chissà quante volte si era concessa della pause godi e fuggi strada facendo. Puttana e basta, ecco tutto. Si raffreddò e il settore razionale del cervello fu nuovamente in grado analizzare e mettere in relazione gli eventi: omicidio, furto, sua moglie, partenza improvvisa, toilette, Villata, piramide… non poteva essere l’assassina, non aveva la forza per spezzare il collo di Padre Pereira, ma era coinvolta fino al… collo. Aveva sposato una tizia che non conosceva affatto, una balorda dalla doppia vita.
“Che si fa?” chiese René. “Perché non ci racconti di te?”
Si scambiarono dati anagrafici, biografie, nozioni, elementi e dettagli che chiarirono la reciproca posizione in trincea. Che cosa fare della piramide?
“L’hanno rubata a te”, disse il nano, “ma potrebbe servire alla resistenza…”
“La resistenza!...” commentò velenoso Garibaldi, “vorrei proprio incontrarli questi spettri che si aggirano per il mondo, capaci di mettere in crisi il Sistema Invisibile di Controllo.”
“Dai tempo al tempo… il cicisbeo, qui, potrebbe fare il doppio gioco, vero Ted?”
“Per me…” disse il Villata, “io non voglio più saperne di quell’arnese che fa venire mal di testa, mi ha solo procurato guai: un bernoccolo sulla fronte, gente che vuole spararmi e tu che mi prendi a pugni. Tienitela sta piramide del cazzo!”
“Siamo d’accordo allora, la prendo io. Ritrovo i frammenti di metallo spaziale e poi consegno tutto al Vescovo."
“Ma bravo”, disse René, “sarebbe una carognata grossa come la Torre Bionica di Kuala Lumpur!”
Erano le tre del mattino, le frasi si accavallavano, i ruoli s’invertivano, le parole non riuscivano a dare ordine al caos.
Paolo, sempre con il revolver in mano, si trovò nella ridicola condizione di subire un interrogatorio quando le domande avrebbe dovuto farle lui.
“René lasciamogliela sta piramide” disse Ted, “non sappiano neanche a cosa serve, pensiamo a salvare la pelle e la mente.”
“Forse avete ragione, non deve cadere nelle mani sbagliate”, suggerì Paolo, contraddicendo se stesso.
“Concordo”, disse René, “dobbiamo decidere una strategia comune, basata su un rapporto di fiducia e partire all’attacco!”
“Ma io… io devo incontrare il mago delle stelle, per cambiare identità”, frignò il Villata.
Ted riassunse la sua storia di latitante e Paolo non sembrò stupirsi. Quante volte aveva fantasticato sul modo migliore per fregare il nuovo ordine mondiale entrando in clandestinità?!
“Se non riconsegno la piramide… anch’io avrò bisogno di una nuova identità”, sospirò Paolo.
“Tutte le persone libere dovranno nascondersi cambiando personaggio”, sentenziò René e riprese: “Adesso riposate. Io vado da Ariette per accertarmi che tutto proceda. Domattina si va in laboratorio da Hank Wesselman, per far analizzare questa roba e per la nuova identità di Ted.”