Brano 5
“Bisogna lasciare alle lettere la possibilità di continuare ad essere lettere, nonostante le parole”. Quella frase ritornava ad accompagnarmi ogni volta che entravo cosciente nel buio. Un mattino ecco nuovi concetti: <<Oseh devaro lishma begol devaro>> - (Salmo, 103). La mia guida spiegò: “Sei muratore della sua parola e costruisci per ascoltarne la voce. I giusti, eroi della forza, fanno e costruiscono la parola di Dio, la lingua santa con cui creò il mondo. Tutto fu prima della creazione, tutto fu adesso, quando il giusto ascolta la parola di Dio e la fabbrica. Grazie ai tuoi antichi meriti, sei il muratore, capace di edificare il verbo per ascoltarlo. Na’aseh Wenishma: facciamo e comprendiamo. Fabbrichiamo le parole per capirle. Costruiamo l’Opera ad Arte.
Sono certo di essere nuovamente nell’estate del 1999. Fra poco inizierà l‘ultima eclisse di sole del Millennio, che avverrà l’undici agosto. Sarà un evento temutissimo da maghi, veggenti ed astrologi. Me lo ha rivelato la Guida, ma non capisco a cosa serve tale informazione.
Discendo in una casa di pietra bianca, tipicamente orientale.
Riconosco la monaca Shagal, che non riesce a prendere sonno. Abbandonato il giaciglio di giunchi e stuoie, esce per rinfrescarsi; anche a notte fonda il villaggio di Dana offre dall’alto di un dirupo, un panorama sbalorditivo: la donna cammina lentamente, lasciandosi sedurre dalle candide e materne braccia di Selene. Suoi compagni: la solitudine, uno stiletto e le sue inconfessabili perversioni.
Senza meta, assorta nel suo errare, Shagal, giunge senza accorgersene alle antiche miniere di rame del Wadi Fayan, e sospirando forte, lascia che ancora la luna faccia strada, illuminando il sentiero fra le rocce… lontani versi di belve tristi compongono una melodia perfetta per quella notte d’incanti.
Un rosso ambrato intenso impregna le rocce ferrose, trasudanti un caldo molle e afoso. Shagal, stordita dal torpore, è riportata alla realtà da un suono insistente, che sembra quello di un telefono.
Un’invenzione fenomenale i comunicatori trasportabili: maneggevoli, di ridotte dimensioni, alla fine del ventesimo secolo hanno trasfigurato il modo di comunicare.
La ragazza, agitata, fruga vesti e borsa, per porre fine a quel segnale lancinante. Chi può cercarla a quella ora della notte? Il suono è diverso dal solito, molto più sottile, rapido, intenso… Shagal scaglia il telefono contro una roccia per farlo a pezzi: desidera disperatamente che il segnale provenga dall’apparecchio, ma è spento! S’accorge d’essere a pochi passi da un ingresso delle miniere, buio, minaccioso, inquietante… meglio tornare indietro. Non ha il tempo di completare il pensiero, che una sfera di luce compare nella fenditura, levitando.
Un raggio arancione la colpisce al petto, facendola sobbalzare, senza provocarle alcun dolore. Quello scontro di particelle produce una luce abbacinante che l’acceca per qualche momento, illuminando a giorno la scena. La donna, presa dal terrore, si accascia a terra, fra sabbia e rocce, difendendo il viso con le braccia. Rimane lì, umiliata, illuminata, attendendo la fine.
La splendente violenza, progressivamente dilegua. Shagal alza la testa e nel chiarore diffuso, distingue una figura che, silenziosamente, muove verso di lei. E’ imponente, straordinariamente alta, avvolta in un lungo manto rosso, vestita di una tunica bianca. Lei resta immobile, tremante. Lui si piega e l’abbraccia, in segno d’amicizia, invitandola ad alzarsi: “Non temere, donna. Sei stata scelta fra molte per compiere una missione vitale per la nostra stirpe.”.
Shagal sembra non capire: “Chi sei? Se devi farlo, fallo presto, ho molti soldi nella borsa, prendi tutto e non mi risparmiare: desidero soltanto morire.”
“Come puoi pensare alla fine, quando ciò che ti circonda è pieno di vita, quando vi è ancora tanta parte d’esistenza innanzi a te? Alzati, te lo ordino”, dice lui. Il suo sembiante ha qualcosa d’antico e sovrumano. Aspetto fiero, viso scavato da rughe profonde, reso ancor più austero da una lunga barba nera che gli copre il petto. Potrebbe avere cinquanta o cinquantamila anni.
“Guarda: alberi, cespugli, stelle infinite e la valle… dove la sabbia, le balze, le oasi, i torrenti, la rada vegetazione si abbracciano in un amplesso infinito di silenzi. Questo tappeto di fiori selvaggi, l’orizzonte, la luce vaga del sole che sta per nascere! La sola sensazione d'esistere, di vedere, sentire, toccare, muoverti, respirare in questa dimensione è qualcosa che deve renderti felice!”
“Io non sarò mai più spensierata, basta ricordare, ragionare, riflettere!”
“I pensieri che nascono dalla contemplazione non possono che essere sereni.”
“Tu non conosci gli abissi del pensiero, né le sue torture.”
L’uomo inizia a ridere, ironico e beffardo. I sui lineamenti ondeggiano, scossi da un’inafferrabile energia interna e per qualche istante lei vede il volto del drago… pelle squamosa, labbra sottili, occhi taglienti, che sprigionano un’ambigua luce rossastra.
“Non conosco gli abissi del pensiero?!” La sua risata divenne un ghigno bollente, scuro e doloroso.
“Io conosco gli abissi dell’infelicità assoluta”, dice Shagal, dura, “e non ti temo, Satana!”
“Non dire sciocchezze, Satana non esiste, almeno come lo immagini tu.”
“Sei un eremita?”
“Forse… qualcosa di simile, e tu, forse, sei ingiusta a temermi. Non vi è assoluta infelicità, né felicità assoluta. L'eredità di beni e di mali che ci lega alla natura può eccedere o difettare nella misura di questi o di quelli, ma ciascun uomo ne ha una parte, piccola o grande, nessuna esistenza è priva di un balenio di felicità., ad esempio, per una monaca, i piaceri della fantasia.”
“Vi fu un tempo in cui accettai la miseria della clausura, della perversa attesa d’uomini e donne eccitati al pensiero d’entrare in me. Io accolsi qualunque spasimo, a patto di sognare tutte le notti, di sognare sempre, di esistere solo in una vita d’illusioni. Allora non ero ancora malata. Oggi i miei peccati mi stanno esaudendo; la mia infermità mi procura sonni convulsivi e visioni come questa: chi sei?”
“Considerami un assopimento febbrile, nel mondo sconfinato dei miraggi.”
“Basta, mi disgustano i deliri. Vivo in un mondo reale, devo afferrare l’istante, la concretezza della vita!”
Ricordandomi per qualche istante la mia identità di notaio, pensai nella visione stessa: “Che cosa è reale? Ciò che si crede reale è sempre relativo all’istante ed allo stato di coscienza!”
L’uomo rise di nuovo, ancor più forte, riattivando la mia attenzione.
“Donna, le sorgenti della felicità sono molteplici, chi si reputa avventurato in una maniera, chi in un'altra; la maggior parte degli uomini lo è in modi opposti o diversissimi. Non vi è che un mezzo comune, facile, sicuro d’essere felice.”
“Quale?”
“Avere senza avere, non amare e non odiare. La distruzione, la guerra, l’orrore, la civiltà, il progresso, nascono tutte dal sentimento primordiale dell’identificarsi nel possesso.”
Shagal tace, mentre il braccio dell’uomo pesa con maggior abbandono sulla sua spalla. La mano scende, fruga, stringe i seni floridi, accarezza il ventre, e scende ancora, aprendosi come un fiore che sboccia, per cogliere la meraviglia più intima e rugiadosa del creato. Le bocche si uniscono. Le vesti cadono. Le gambe tremanti della donna si aprono, timidamente, invase da una virilità prepotente, incontenibile, che le obbliga a ricevere ancora e ancora la pienezza, sino all’alba
“Bisogna lasciare alle lettere la possibilità di continuare ad essere lettere, nonostante le parole”. Quella frase ritornava ad accompagnarmi ogni volta che entravo cosciente nel buio. Un mattino ecco nuovi concetti: <<Oseh devaro lishma begol devaro>> - (Salmo, 103). La mia guida spiegò: “Sei muratore della sua parola e costruisci per ascoltarne la voce. I giusti, eroi della forza, fanno e costruiscono la parola di Dio, la lingua santa con cui creò il mondo. Tutto fu prima della creazione, tutto fu adesso, quando il giusto ascolta la parola di Dio e la fabbrica. Grazie ai tuoi antichi meriti, sei il muratore, capace di edificare il verbo per ascoltarlo. Na’aseh Wenishma: facciamo e comprendiamo. Fabbrichiamo le parole per capirle. Costruiamo l’Opera ad Arte.
Sono certo di essere nuovamente nell’estate del 1999. Fra poco inizierà l‘ultima eclisse di sole del Millennio, che avverrà l’undici agosto. Sarà un evento temutissimo da maghi, veggenti ed astrologi. Me lo ha rivelato la Guida, ma non capisco a cosa serve tale informazione.
Discendo in una casa di pietra bianca, tipicamente orientale.
Riconosco la monaca Shagal, che non riesce a prendere sonno. Abbandonato il giaciglio di giunchi e stuoie, esce per rinfrescarsi; anche a notte fonda il villaggio di Dana offre dall’alto di un dirupo, un panorama sbalorditivo: la donna cammina lentamente, lasciandosi sedurre dalle candide e materne braccia di Selene. Suoi compagni: la solitudine, uno stiletto e le sue inconfessabili perversioni.
Senza meta, assorta nel suo errare, Shagal, giunge senza accorgersene alle antiche miniere di rame del Wadi Fayan, e sospirando forte, lascia che ancora la luna faccia strada, illuminando il sentiero fra le rocce… lontani versi di belve tristi compongono una melodia perfetta per quella notte d’incanti.
Un rosso ambrato intenso impregna le rocce ferrose, trasudanti un caldo molle e afoso. Shagal, stordita dal torpore, è riportata alla realtà da un suono insistente, che sembra quello di un telefono.
Un’invenzione fenomenale i comunicatori trasportabili: maneggevoli, di ridotte dimensioni, alla fine del ventesimo secolo hanno trasfigurato il modo di comunicare.
La ragazza, agitata, fruga vesti e borsa, per porre fine a quel segnale lancinante. Chi può cercarla a quella ora della notte? Il suono è diverso dal solito, molto più sottile, rapido, intenso… Shagal scaglia il telefono contro una roccia per farlo a pezzi: desidera disperatamente che il segnale provenga dall’apparecchio, ma è spento! S’accorge d’essere a pochi passi da un ingresso delle miniere, buio, minaccioso, inquietante… meglio tornare indietro. Non ha il tempo di completare il pensiero, che una sfera di luce compare nella fenditura, levitando.
Un raggio arancione la colpisce al petto, facendola sobbalzare, senza provocarle alcun dolore. Quello scontro di particelle produce una luce abbacinante che l’acceca per qualche momento, illuminando a giorno la scena. La donna, presa dal terrore, si accascia a terra, fra sabbia e rocce, difendendo il viso con le braccia. Rimane lì, umiliata, illuminata, attendendo la fine.
La splendente violenza, progressivamente dilegua. Shagal alza la testa e nel chiarore diffuso, distingue una figura che, silenziosamente, muove verso di lei. E’ imponente, straordinariamente alta, avvolta in un lungo manto rosso, vestita di una tunica bianca. Lei resta immobile, tremante. Lui si piega e l’abbraccia, in segno d’amicizia, invitandola ad alzarsi: “Non temere, donna. Sei stata scelta fra molte per compiere una missione vitale per la nostra stirpe.”.
Shagal sembra non capire: “Chi sei? Se devi farlo, fallo presto, ho molti soldi nella borsa, prendi tutto e non mi risparmiare: desidero soltanto morire.”
“Come puoi pensare alla fine, quando ciò che ti circonda è pieno di vita, quando vi è ancora tanta parte d’esistenza innanzi a te? Alzati, te lo ordino”, dice lui. Il suo sembiante ha qualcosa d’antico e sovrumano. Aspetto fiero, viso scavato da rughe profonde, reso ancor più austero da una lunga barba nera che gli copre il petto. Potrebbe avere cinquanta o cinquantamila anni.
“Guarda: alberi, cespugli, stelle infinite e la valle… dove la sabbia, le balze, le oasi, i torrenti, la rada vegetazione si abbracciano in un amplesso infinito di silenzi. Questo tappeto di fiori selvaggi, l’orizzonte, la luce vaga del sole che sta per nascere! La sola sensazione d'esistere, di vedere, sentire, toccare, muoverti, respirare in questa dimensione è qualcosa che deve renderti felice!”
“Io non sarò mai più spensierata, basta ricordare, ragionare, riflettere!”
“I pensieri che nascono dalla contemplazione non possono che essere sereni.”
“Tu non conosci gli abissi del pensiero, né le sue torture.”
L’uomo inizia a ridere, ironico e beffardo. I sui lineamenti ondeggiano, scossi da un’inafferrabile energia interna e per qualche istante lei vede il volto del drago… pelle squamosa, labbra sottili, occhi taglienti, che sprigionano un’ambigua luce rossastra.
“Non conosco gli abissi del pensiero?!” La sua risata divenne un ghigno bollente, scuro e doloroso.
“Io conosco gli abissi dell’infelicità assoluta”, dice Shagal, dura, “e non ti temo, Satana!”
“Non dire sciocchezze, Satana non esiste, almeno come lo immagini tu.”
“Sei un eremita?”
“Forse… qualcosa di simile, e tu, forse, sei ingiusta a temermi. Non vi è assoluta infelicità, né felicità assoluta. L'eredità di beni e di mali che ci lega alla natura può eccedere o difettare nella misura di questi o di quelli, ma ciascun uomo ne ha una parte, piccola o grande, nessuna esistenza è priva di un balenio di felicità., ad esempio, per una monaca, i piaceri della fantasia.”
“Vi fu un tempo in cui accettai la miseria della clausura, della perversa attesa d’uomini e donne eccitati al pensiero d’entrare in me. Io accolsi qualunque spasimo, a patto di sognare tutte le notti, di sognare sempre, di esistere solo in una vita d’illusioni. Allora non ero ancora malata. Oggi i miei peccati mi stanno esaudendo; la mia infermità mi procura sonni convulsivi e visioni come questa: chi sei?”
“Considerami un assopimento febbrile, nel mondo sconfinato dei miraggi.”
“Basta, mi disgustano i deliri. Vivo in un mondo reale, devo afferrare l’istante, la concretezza della vita!”
Ricordandomi per qualche istante la mia identità di notaio, pensai nella visione stessa: “Che cosa è reale? Ciò che si crede reale è sempre relativo all’istante ed allo stato di coscienza!”
L’uomo rise di nuovo, ancor più forte, riattivando la mia attenzione.
“Donna, le sorgenti della felicità sono molteplici, chi si reputa avventurato in una maniera, chi in un'altra; la maggior parte degli uomini lo è in modi opposti o diversissimi. Non vi è che un mezzo comune, facile, sicuro d’essere felice.”
“Quale?”
“Avere senza avere, non amare e non odiare. La distruzione, la guerra, l’orrore, la civiltà, il progresso, nascono tutte dal sentimento primordiale dell’identificarsi nel possesso.”
Shagal tace, mentre il braccio dell’uomo pesa con maggior abbandono sulla sua spalla. La mano scende, fruga, stringe i seni floridi, accarezza il ventre, e scende ancora, aprendosi come un fiore che sboccia, per cogliere la meraviglia più intima e rugiadosa del creato. Le bocche si uniscono. Le vesti cadono. Le gambe tremanti della donna si aprono, timidamente, invase da una virilità prepotente, incontenibile, che le obbliga a ricevere ancora e ancora la pienezza, sino all’alba