Brano 34
Paolo, Ted, René ed Ariette si ritrovarono verso mezzogiorno. Il gruppetto si era dato appuntamento in un ristorante caratteristico, a poche centinaia di metri dalla Rocca di San Leo. Era giunto il momento in cui René doveva risolvere quel pasticcio che gli era capitato fra capo e collo. La resistenza aveva accettato di conoscere quella gente per aiutarla.
Le antenne del radio telescopio emergevano dalla nebbiolina caldo umida del primo pomeriggio, il sole sembrava velato da uno sottile strato di brina rosata. La stella misteriosa continuava ad osservare la terra, immobile, rilucente.
Il pesante cancello di acciaio si era aperto per farli attraversare la prima cinta. La struttura, infatti, era formata da anelli concentrici come una città medievale. Uomini armati presidiavano lo spazio antistante ogni cerchia muraria. Varcarono l’ultimo portone blindato. Un uomo in tuta bianca con un casco integrale che gli copriva completamente il viso li condusse all’interno dell’edificio principale.
Lo sguardo si perdeva all’orizzonte attraverso le finestre blindate del laboratorio, mentre gli innumerevoli schermi delle strumentazioni frusciavano.
Hank Wesselman, lo scienziato austriaco amico di René, una delle grandi menti partigiane disse: “I romanzi di fantascienza mi hanno appassionato sin da bambino… Einlein, Asimov, Silversberg e ora mi ritrovo a viverne uno. E’ incredibile che questa cosa abbia percorso migliaia di anni e di chilometri per finire sul mio banco.”
“Potrebbe essere più chiaro?”, lo pregò Paolo Garibaldi.
“Avvicinatevi al microscopio elettronico… uno per volta, senza far cadere niente a terra!”
“Ci sono dei geroglifici, qui in basso!” disse René. Osservando il reperto.
“Ad occhio nudo non si possono vedere, eppure ci sono, compagno… cesellazione nano tecnologica!”
“Sì, quattro figure con il volto trifronte: una graziosa giovenca, una serpe e un’austera leonessa. Da ogni immagine schizza un raggio che converge con gli altri tre, per formare un’intelaiatura piramidale.”
“Se permette vorrei rendermi conto. Io sono il più diretto interessato …”, disse Paolo Garibaldi.
“Venga. Vede le figure?”
“Come no?! Al centro c’è un uomo… penetrato perpendicolarmente da un quinto raggio che gli entra nel cranio ed esce tra le sue gambe passando al centro della base quadrata. I geroglifici sotto la figura cosa significano?
“E’ un epigramma” spiegò l’astrofisico, “Sa-Ra, Io sono colui che abita tra le stelle. Siederò sulla terra nel puro paradiso, sotto le foglie di palma della dea Hathor, dimorante nel vasto Disco, e tutto saprò dai divini libri di Thoth, suo compagno.”
“Non ci ho capito niente, cosa significa?” chiese il Villata.
“Questo è il rito di trasmutazione dell’uomo in divinità attraverso il ricevimento del fuoco cosmico, presieduto dalla dea egizia Hathor, guardiana della porta dimensionale ed esecutrice dell'operazione alchemica”, disse Garibaldi, memore dei suoi studi accademici.
“Bravo, vedo che non è un profano…” precisò Wesselman.
“Ho studiato le antiche religioni…“
Lo scienziato riprese: “Il volto di giovenca evoca la tenerezza materna, la vitalità, l’amorevolezza. Quello di serpente, il pericolo dell’uso inesperto dell’energia, ma anche la possibilità di ampliare la propria potenza e conoscenza attraverso la stessa energia.”
“Se non sbaglio”, interruppe Garibaldi, “la leonessa, Sekhmet la potente, appartiene al gruppo delle divinità guerriere di Ra. Protettrice degli dei e del Faraone che sa onorarla degnamente, affinché la sua possente forza sia benefica per il regno.”
“Sì, ma la divina è sempre pronta a dilaniare i profani come noi, o meglio, chi voglia accostarsi al segreto con cuore impuro. Rappresenta l'aspetto distruttivo e lenitivo di Hathor, l'esecutrice dell'operazione alchemica dove il fuoco svolge un ruolo essenziale: può esplodere distruggendo o rigenerare. In questa forma la dea è un neter, una sorta di demone, capace di diffondere epidemie o di sconfiggere ogni malattia.
L’energia di Ra richiamata da Hathor-Sekmeth distrugge l’uomo degradato e malvagio, ma può trasformare in Horus chi lo merita, l’essere che ha trasceso la condizione umana per diventare il sublime della luce.
L’unico in grado di leggere e interpretare il libro della conoscenza di Thot, controparte maschile di Hathor. E’ sbalorditivo, c’è anche un cartiglio:
Semenkhare figlio di Akh-en-Aton
a Moshe, gran sacerdote del regno di Akhet-Aton
la quarta parte di Ra-Harcate affida.
“Moshe? Mosè, quello della Bibbia?”
“Credo propri di sì.”
“Un ebreo, no?!”
“Sì, ma ebreo in questo caso non significa molto. Direi… gran sacerdote del tempio del divino padre Ay, cioè Aton Ay.”
“Adonai! Vede che gli ebrei c’entrano.”
“Gli ebrei sono egiziani, cari. D’altra parte vedo anche quattro geroglifici identici alle lettere ebraiche Yahu-h - Adorazione del grande dio He - L’alito divino
Io non ho capito un gran che compagno”, disse René. “Se mi parlassi di scienza e tecnologia ne saprei di più… ma la mitologia non è il mio forte.”
“Solo i sacerdoti egizi di yahùd avevano il potere di scrivere una cosa simile, poiché nessun altro poteva accedere alla scrittura sacra.
Questo è uno dei quattro segni viventi che compongo il nome di Dio. Lo Yahu egizio è formato dai tre geroglifici YHW, troppo simili per essere diversi dal nome Yahvè YHVH della Torà. Il tetragramma ebraico Yahvé è formato dalla radice Yahu nome del faraone, e da he, alito divino.
“Una tecnologia rivoluzionaria che emerge dalla polvere della storia, caro René,! Si tratta di uno Jed miniaturizzato”, un piccolo Yahvé, sentenziò lo scienziato.
“I moderni Jed non sono certo divinità, servono solo a trasformare impulsi elettrici da bassa ad alta tensione, o a formare una barriera al passaggio di componenti alternate ad alta frequenza”, disse René.
“Questo Jed non è moderno bensì antichissimo. Non ne ho mai visti di simili: potrebbe assommare un ricetrasmettitore d’alte frequenze, un trasformatore e un generatore di tensione, ma anche un accumulatore.”
“Come può dirlo con certezza?” chiese Ariette.
“Senta, la retro ingegneria è il mio forte, sono laureato in informatica, fisica nucleare e astrofisica, ho sudato sangue per ottenere l’irraggiungibile PhD in ingegneria elettronica e ho anche indagato per anni archeologia, paleografia, lingue antiche e meccanica quantistica. Le basta?”
“Lei è un… portento … se ho capito”, disse Ariette timidamente, “questa piramide, che ha ficcato scortesemente sotto il microscopio, riproduce uno dei quattro geroglifici raffigurati nella piramide stessa … scusi la confusione, non so dirlo meglio…”
“E’ così. Questo grazioso solido è Hathor in persona, o meglio… la sua quarta parte. Per procedere a non so quale operazione mancano le altre tre, e non siamo certi che esista una strumentazione tanto potente da poter trasmettere Ra, cioè il fuoco cosmico.”
“Cos’è il fuoco cosmico?” chiese Ariette.
“Ha mai sentito parlare di tempeste solari?”
“Sì, sono causate dalle macchie solari durante l’invecchiamento degli astri, che si ripetono a cicli, e se stai troppo sulla spiaggia ti rovinano la pelle, riempiendo anche te di macchie e bruciature, e ti avvizziscono come le stelle, anche se non sei una star di Hollywood.”
“Ebbene, spiritosona, l’energia dei raggi cosmici concentrati nel fuoco interstellare può generare una tempesta simile a quella di centinaia di soli.”
“Sai che abbronzatura!”, disse la donna.
Paolo Garibaldi osò sintetizzare un concetto importante: “Lei suppone quindi che lo Jed non sia un semplice simulacro, ma un apparecchio realizzato da un esperto nel trattamento dei segnali ad alta frequenza?!”
“Certo, lo ha realizzato un ingegnere in telecomunicazioni nell’Egitto predinastico, dieci o dodicimila anni fa; forse, quando fu costruita la Piramide di Cheope. Le incisioni sono successive. In scala ha le stesse misura del mitico poliedro che domina la Piana di Ghiza. Era sicuramente un esperto in scienza selfica, lo studio dell’interazione tra elementi e campi energetici che avvolgono la Terra in una griglia a settori e la mettono in relazione con analoghe forze sulla griglia energetica universale.
Ne emerge l’associazione tra forme e materiali, che consente la realizzazione di strutture capaci di ricevere, accumulare, trasformare e diffondere energie interagenti fra l’essere umano, l’ambiente e l’universo.
“Io so cosa sono le self, le spirali, guadi, ne ho una al collo! Rafforza la vitalità.”
“Certo, Ariette, la forma più ricorrente è quella a spirale, la struttura base dell’universo”, riprese Wesselman. “La sua però è un giocattolo semplice. Le self della vita possono vantare molti livelli di complessità e d’uso, dalle più elementari come la sua, a quelle che agiscono sugli ambienti, fino ai modelli programmati per modificare le vibrazioni cosmiche e determinare grandi mutamenti psicofisici.”
“Pazzesco, per questo bevi come una spugna, ti droghi e ti fai mettere incinta da tutti e non sei ancora morta”, si limitò a dire il Villata, stupefatto.
Lo scienziato fece finta di non capire le beghe familiari: “Sono certo che all’interno di questa piramide ci deve essere una spirale. I componenti sono, di norma, metallici, soprattutto oro e rame.”
“Il materiale che costituisce quella piramide… non trova posto nella tavola degli elementi di Mendeleen”, sentenziò Garibaldi con sicurezza.
“Crede? Dovremmo sottoporla ad una spettroscopia ad energia dispersiva…”
L’esame durò parecchio e mentre procedeva lo stupore di Hank Wesselman divenne incredulità.
Le informazioni fornite nel filmato del Professore Max Oddluve erano esatte.
“E’ costituta dal fantomatico elemento transuranico 115 stabilizzato! La spirale alterna strati di Bismuto puro e di Magnesio/Zinco. E’ un reperto demenziale, che farebbe impazzire e litigare per anni gli egittologi. Gli studiosi sono a conoscenza della mistica e dei simboli del culto di Hathor, ma i problemi iniziano non appena si devono prendere in considerazione manufatti che oggi non esistono ancora ed a maggior ragione non potevano esistere migliaia d’anni fa. Gli storici e gli archeologi difficilmente sono anche tecnologi, esperti in telecomunicazioni o in fisica tecnica. Quello che salta subito agli occhi di uno specialista in tali materie, non può essere compreso da un umanista. Purtroppo nella formazione scientifica del XX e XXI secolo si sono create delle incolmabili differenziazioni d’ambiti, e un settore è spesso abissalmente separato dagli altri.”
Paolo, Ted, René ed Ariette si ritrovarono verso mezzogiorno. Il gruppetto si era dato appuntamento in un ristorante caratteristico, a poche centinaia di metri dalla Rocca di San Leo. Era giunto il momento in cui René doveva risolvere quel pasticcio che gli era capitato fra capo e collo. La resistenza aveva accettato di conoscere quella gente per aiutarla.
Le antenne del radio telescopio emergevano dalla nebbiolina caldo umida del primo pomeriggio, il sole sembrava velato da uno sottile strato di brina rosata. La stella misteriosa continuava ad osservare la terra, immobile, rilucente.
Il pesante cancello di acciaio si era aperto per farli attraversare la prima cinta. La struttura, infatti, era formata da anelli concentrici come una città medievale. Uomini armati presidiavano lo spazio antistante ogni cerchia muraria. Varcarono l’ultimo portone blindato. Un uomo in tuta bianca con un casco integrale che gli copriva completamente il viso li condusse all’interno dell’edificio principale.
Lo sguardo si perdeva all’orizzonte attraverso le finestre blindate del laboratorio, mentre gli innumerevoli schermi delle strumentazioni frusciavano.
Hank Wesselman, lo scienziato austriaco amico di René, una delle grandi menti partigiane disse: “I romanzi di fantascienza mi hanno appassionato sin da bambino… Einlein, Asimov, Silversberg e ora mi ritrovo a viverne uno. E’ incredibile che questa cosa abbia percorso migliaia di anni e di chilometri per finire sul mio banco.”
“Potrebbe essere più chiaro?”, lo pregò Paolo Garibaldi.
“Avvicinatevi al microscopio elettronico… uno per volta, senza far cadere niente a terra!”
“Ci sono dei geroglifici, qui in basso!” disse René. Osservando il reperto.
“Ad occhio nudo non si possono vedere, eppure ci sono, compagno… cesellazione nano tecnologica!”
“Sì, quattro figure con il volto trifronte: una graziosa giovenca, una serpe e un’austera leonessa. Da ogni immagine schizza un raggio che converge con gli altri tre, per formare un’intelaiatura piramidale.”
“Se permette vorrei rendermi conto. Io sono il più diretto interessato …”, disse Paolo Garibaldi.
“Venga. Vede le figure?”
“Come no?! Al centro c’è un uomo… penetrato perpendicolarmente da un quinto raggio che gli entra nel cranio ed esce tra le sue gambe passando al centro della base quadrata. I geroglifici sotto la figura cosa significano?
“E’ un epigramma” spiegò l’astrofisico, “Sa-Ra, Io sono colui che abita tra le stelle. Siederò sulla terra nel puro paradiso, sotto le foglie di palma della dea Hathor, dimorante nel vasto Disco, e tutto saprò dai divini libri di Thoth, suo compagno.”
“Non ci ho capito niente, cosa significa?” chiese il Villata.
“Questo è il rito di trasmutazione dell’uomo in divinità attraverso il ricevimento del fuoco cosmico, presieduto dalla dea egizia Hathor, guardiana della porta dimensionale ed esecutrice dell'operazione alchemica”, disse Garibaldi, memore dei suoi studi accademici.
“Bravo, vedo che non è un profano…” precisò Wesselman.
“Ho studiato le antiche religioni…“
Lo scienziato riprese: “Il volto di giovenca evoca la tenerezza materna, la vitalità, l’amorevolezza. Quello di serpente, il pericolo dell’uso inesperto dell’energia, ma anche la possibilità di ampliare la propria potenza e conoscenza attraverso la stessa energia.”
“Se non sbaglio”, interruppe Garibaldi, “la leonessa, Sekhmet la potente, appartiene al gruppo delle divinità guerriere di Ra. Protettrice degli dei e del Faraone che sa onorarla degnamente, affinché la sua possente forza sia benefica per il regno.”
“Sì, ma la divina è sempre pronta a dilaniare i profani come noi, o meglio, chi voglia accostarsi al segreto con cuore impuro. Rappresenta l'aspetto distruttivo e lenitivo di Hathor, l'esecutrice dell'operazione alchemica dove il fuoco svolge un ruolo essenziale: può esplodere distruggendo o rigenerare. In questa forma la dea è un neter, una sorta di demone, capace di diffondere epidemie o di sconfiggere ogni malattia.
L’energia di Ra richiamata da Hathor-Sekmeth distrugge l’uomo degradato e malvagio, ma può trasformare in Horus chi lo merita, l’essere che ha trasceso la condizione umana per diventare il sublime della luce.
L’unico in grado di leggere e interpretare il libro della conoscenza di Thot, controparte maschile di Hathor. E’ sbalorditivo, c’è anche un cartiglio:
Semenkhare figlio di Akh-en-Aton
a Moshe, gran sacerdote del regno di Akhet-Aton
la quarta parte di Ra-Harcate affida.
“Moshe? Mosè, quello della Bibbia?”
“Credo propri di sì.”
“Un ebreo, no?!”
“Sì, ma ebreo in questo caso non significa molto. Direi… gran sacerdote del tempio del divino padre Ay, cioè Aton Ay.”
“Adonai! Vede che gli ebrei c’entrano.”
“Gli ebrei sono egiziani, cari. D’altra parte vedo anche quattro geroglifici identici alle lettere ebraiche Yahu-h - Adorazione del grande dio He - L’alito divino
Io non ho capito un gran che compagno”, disse René. “Se mi parlassi di scienza e tecnologia ne saprei di più… ma la mitologia non è il mio forte.”
“Solo i sacerdoti egizi di yahùd avevano il potere di scrivere una cosa simile, poiché nessun altro poteva accedere alla scrittura sacra.
Questo è uno dei quattro segni viventi che compongo il nome di Dio. Lo Yahu egizio è formato dai tre geroglifici YHW, troppo simili per essere diversi dal nome Yahvè YHVH della Torà. Il tetragramma ebraico Yahvé è formato dalla radice Yahu nome del faraone, e da he, alito divino.
“Una tecnologia rivoluzionaria che emerge dalla polvere della storia, caro René,! Si tratta di uno Jed miniaturizzato”, un piccolo Yahvé, sentenziò lo scienziato.
“I moderni Jed non sono certo divinità, servono solo a trasformare impulsi elettrici da bassa ad alta tensione, o a formare una barriera al passaggio di componenti alternate ad alta frequenza”, disse René.
“Questo Jed non è moderno bensì antichissimo. Non ne ho mai visti di simili: potrebbe assommare un ricetrasmettitore d’alte frequenze, un trasformatore e un generatore di tensione, ma anche un accumulatore.”
“Come può dirlo con certezza?” chiese Ariette.
“Senta, la retro ingegneria è il mio forte, sono laureato in informatica, fisica nucleare e astrofisica, ho sudato sangue per ottenere l’irraggiungibile PhD in ingegneria elettronica e ho anche indagato per anni archeologia, paleografia, lingue antiche e meccanica quantistica. Le basta?”
“Lei è un… portento … se ho capito”, disse Ariette timidamente, “questa piramide, che ha ficcato scortesemente sotto il microscopio, riproduce uno dei quattro geroglifici raffigurati nella piramide stessa … scusi la confusione, non so dirlo meglio…”
“E’ così. Questo grazioso solido è Hathor in persona, o meglio… la sua quarta parte. Per procedere a non so quale operazione mancano le altre tre, e non siamo certi che esista una strumentazione tanto potente da poter trasmettere Ra, cioè il fuoco cosmico.”
“Cos’è il fuoco cosmico?” chiese Ariette.
“Ha mai sentito parlare di tempeste solari?”
“Sì, sono causate dalle macchie solari durante l’invecchiamento degli astri, che si ripetono a cicli, e se stai troppo sulla spiaggia ti rovinano la pelle, riempiendo anche te di macchie e bruciature, e ti avvizziscono come le stelle, anche se non sei una star di Hollywood.”
“Ebbene, spiritosona, l’energia dei raggi cosmici concentrati nel fuoco interstellare può generare una tempesta simile a quella di centinaia di soli.”
“Sai che abbronzatura!”, disse la donna.
Paolo Garibaldi osò sintetizzare un concetto importante: “Lei suppone quindi che lo Jed non sia un semplice simulacro, ma un apparecchio realizzato da un esperto nel trattamento dei segnali ad alta frequenza?!”
“Certo, lo ha realizzato un ingegnere in telecomunicazioni nell’Egitto predinastico, dieci o dodicimila anni fa; forse, quando fu costruita la Piramide di Cheope. Le incisioni sono successive. In scala ha le stesse misura del mitico poliedro che domina la Piana di Ghiza. Era sicuramente un esperto in scienza selfica, lo studio dell’interazione tra elementi e campi energetici che avvolgono la Terra in una griglia a settori e la mettono in relazione con analoghe forze sulla griglia energetica universale.
Ne emerge l’associazione tra forme e materiali, che consente la realizzazione di strutture capaci di ricevere, accumulare, trasformare e diffondere energie interagenti fra l’essere umano, l’ambiente e l’universo.
“Io so cosa sono le self, le spirali, guadi, ne ho una al collo! Rafforza la vitalità.”
“Certo, Ariette, la forma più ricorrente è quella a spirale, la struttura base dell’universo”, riprese Wesselman. “La sua però è un giocattolo semplice. Le self della vita possono vantare molti livelli di complessità e d’uso, dalle più elementari come la sua, a quelle che agiscono sugli ambienti, fino ai modelli programmati per modificare le vibrazioni cosmiche e determinare grandi mutamenti psicofisici.”
“Pazzesco, per questo bevi come una spugna, ti droghi e ti fai mettere incinta da tutti e non sei ancora morta”, si limitò a dire il Villata, stupefatto.
Lo scienziato fece finta di non capire le beghe familiari: “Sono certo che all’interno di questa piramide ci deve essere una spirale. I componenti sono, di norma, metallici, soprattutto oro e rame.”
“Il materiale che costituisce quella piramide… non trova posto nella tavola degli elementi di Mendeleen”, sentenziò Garibaldi con sicurezza.
“Crede? Dovremmo sottoporla ad una spettroscopia ad energia dispersiva…”
L’esame durò parecchio e mentre procedeva lo stupore di Hank Wesselman divenne incredulità.
Le informazioni fornite nel filmato del Professore Max Oddluve erano esatte.
“E’ costituta dal fantomatico elemento transuranico 115 stabilizzato! La spirale alterna strati di Bismuto puro e di Magnesio/Zinco. E’ un reperto demenziale, che farebbe impazzire e litigare per anni gli egittologi. Gli studiosi sono a conoscenza della mistica e dei simboli del culto di Hathor, ma i problemi iniziano non appena si devono prendere in considerazione manufatti che oggi non esistono ancora ed a maggior ragione non potevano esistere migliaia d’anni fa. Gli storici e gli archeologi difficilmente sono anche tecnologi, esperti in telecomunicazioni o in fisica tecnica. Quello che salta subito agli occhi di uno specialista in tali materie, non può essere compreso da un umanista. Purtroppo nella formazione scientifica del XX e XXI secolo si sono create delle incolmabili differenziazioni d’ambiti, e un settore è spesso abissalmente separato dagli altri.”