Brano 52
Prigioniero. Esiliato. S’era consegnato in ostaggio ai nazionalsocialisti per salvare Roma dal saccheggio. Il volo verso Mosca, un lampo. Gli avevano assegnato un immenso appartamento di lusso, all’interno del Cremlino. Un’angoscia scomposta lo avvolgeva pesantemente come un sudario: accusava notevoli difficoltà a distinguere fra le sue incoerenti sensazioni oniriche e la realtà. Non era mai certo d'esser desto, anche se, non appena l’effetto delle droghe si placava, ritornava in lui una disperata lucidità. Uno smarrimento totale increspò le labbra del Papa, non appena si rese conto che la storia stava prendendo la direzione sbagliata. Da quanti giorni era rinchiuso?
Ripensò alla piramide trafugata a Torino. Iniziava a capire, erano i nemici dell’occidente che volevano quello strano reperto, di cui anch’egli ignorava uso e destinazione. Era forse un’arma segreta? A che cosa poteva servire?
Ora… doveva assolutamente riprendere possesso di sé, doveva reclamare un colloquio con il presidente della Federazione Nazionalsocialista. Non potevano trattarlo come un losco despota africano, accusandolo di crimini contro l’umanità. Il mondo libero sarebbe insorto per difendere il suo pastore, se avessero osato dar corso alla minaccia di processarlo; più indugiava in quel pensiero, che pochi mesi prima sarebbe stato il parto della fantasia, più avvertiva la netta impressione d’essere ben desto.
Qualcosa catturò la sua attenzione: impossibile sottrarre lo sguardo da quella gigantografia appesa alla parete, che ritraeva il presidente della Federazione Nazionalsocialista, il presidente del Cirkstan, Ahra Manyu, e il presidente dell’Urukstan, al termine di una seduta dell’ONU. Erano al centro del gruppo composto dai principali capi di stato, e tutti tributavano loro grandi sorrisi: Europa Unita, Cina, India, Giappone, Israele, Brasile, Stati Uniti…
Un assordante caos di motori, cingoli e scarponi chiodati salì inaspettatamente dall’esterno. Con uno sforzo senza pari, Pietro II coprì, vacillando, i pochi metri che lo dividevano dalla finestra. Spostò le tende e vide il viale sottostante invaso di militari in assetto di guerra. Dopo pochi minuti tutto tornò al silenzio, un silenzio assoluto, irreale, che durò più di un’ora.
Era quasi buio, quando una scorta armata accompagnò il Presidente Igor Vlastav negli appartamenti del Papa.
Si avvicinò al pontefice con un calore eccessivo, forse perché aveva bevuto troppo. Indossava un’elegante divisa, trapuntata di decorazioni, ma in capo aveva un cappello carnevalesco con dei campanellini e in tasca una bottiglia di champagne mezza piena.
Salutò militarmente, battendo i tacchi e portando la mano irrigidita alla fronte. Bevve una lunga sorsata, offrendo anche al Papa il collo della bottiglia. “Festa di vittoria!” disse. Si rese conto di non aver dato un esempio di buona educazione, ma sembrava veramente contento di vederlo, tanto che non la finiva più di stringergli vigorosamente la mano, nel più perfetto silenzio.
"Caro presidente, finalmente c’incontriamo” disse il Papa, spezzando l’imbarazzo. Contenne sdegno e impotenza con un tono pacato e dignitoso.
”Vi piacciono i vostri appartamenti? Questa era una foresteria degli zar, avete notato che meravigliose opere d’arte vi circondano? Il cibo ed il trattamento vi soddisfano? Se avete lamentele provvederò subito a punire i responsabili.”
“No, tutto bene, eccellenza. Da quanti giorni sono qui? Ho perso la nozione del tempo.”
“Una settimana.”
“La guerra continua, vero? Povero mondo, poveri innocenti!”
“No, ci siamo ritirati. E’ tregua. Tutto tace, odio a parte, abbiamo vinto e otterremo ciò che vogliamo. Credo che nessuno tenterà una sortita per salvarvi.
E’ stata convocata un’assemblea generale straordinaria delle Nazioni Unite. Le forze occidentali sono troppo deboli e con scarse risorse energetiche per guidare una guerra convenzionale. Non resta che l’arma atomica.”
“La Cina?”
“La Cina? Santità, siamo confederati!”
“Sembrava neutrale.”
“Neutralità tattica. Ormai dipende solo da voi decidere se saremo destinati a perire nelle fiamme dell’olocausto, dove lo scorpione ci vuole precipitare.”
“Che cosa intende dire, Presidente Vlastav?”
“E quando l’Agnello ebbe aperto il Settimo Sigillo… si fece silenzio nel cielo per circa una mezz’ora… e l’Angelo prese il turibolo e lo riempì col fuoco dell’altare e lo gettò sulla Terra, e seguirono tuoni e voci e lampi e gran terremoto…”
“Vedo che conoscete l’Apocalisse.”
“Certo, io sono molto religioso, ero un membro della Chiesa Ortodossa Russa: non temete, presto vi libereremo, senza porre condizioni economiche o territoriali all’occidente. Vi aiuteremo, anzi, con nuovi convenienti contratti per l’energia. Una sola umile richiesta, dovrete firmare una enciclica: questa.”
Gliela porse, un plico voluminoso e fittamente scritto. “E’ una formalità necessaria alla pace.”
“In altri termini?”
“Cedete lo scettro, rinunciate al primato della Chiesa Cattolica Romana. Spronate i fedeli ad abbracciare il Culto Universale del Fuoco Sacro, proposto dai presidenti del Cirkastan e dell’Urukstan.”
“Mi chiedete l’apostasia! E’ assurdo!”
“Lo sapete anche voi che il fuoco sacro è Dio, il Dio della Alleanza, il Dio di Gesù e d’ogni santo e profeta. Semplicissimo. Io ho ottenuto il consenso di tutti i patriarchi ortodossi. I musulmani, gli ebrei, gli indù sono pronti a farlo. Solo una fede universale iconoclasta porrà fine ad ogni guerra.
“Piuttosto il martirio!”
“Vi ricrederete, abbiamo la tecnologia per convincervi a collaborare.”
“Resisterò anche sotto tortura!”
“Non sarà necessario, Santità.”
“Lei cita l’Apocalisse! E’ insensato. La logica del vostro mondialismo mi ricorda, invece, una fiaba d’Esopo. Lo scorpione chiede alla rana di trasportarlo sul dorso all’altra riva del fiume. Non la pungerà con il suo aculeo velenoso, perché perirebbe assieme a lei: ed ecco che in mezzo al guado, lo scorpione affonda il colpo mortale. Non ho potuto dominarsi, questa è la sua natura.”
Rise di gusto: “E voi sareste la rana? Che umorismo sacrilego, vostra Santità!”
“Noi siamo la rana, certo, e la vostra abietta globalizzazione di massa è lo scorpione, che distruggerà la vita.”
“Fandonie, stiamo costruendo un mondo nuovo e giusto, dove tutti i popoli saranno uguali e vivranno in armonia.”
Il presidente Vlastav assunse un tono austero, concitato e nervoso, cercando di trattenere la rabbia che cresceva in lui. “L’imperialismo statunitense, strozzato dalla penuria di risorse energetiche, rinunci al proprio carattere espansionista ed aggressivo! L’America ha potuto eternare il suo sistema e la sua unità garantendo alle classi dirigenti corrotte un alto tenore di vita. Solo sfruttando le risorse degli altri popoli questa egemonia s’è perpetuata per troppo tempo. I nostri mercenari stanno ormai conquistando il continente americano, per rendere giustizia a negri, latini e indio!”
“Sono d’accordo, ma ora volete usare il Papa, affinché questo circolo imperfetto si avvii ad un tragico epilogo?!”
“Rassegnatevi, la rivoluzione mondiale è alle porte: la Grande Russia, la Circassia, la Cina, l’India e l’antica Persia sono rinate. Il nuovo impero, saldamente guidato dalle sue aristocrazie politiche di formazione teocratica, nazionale e socialista, ha recuperato l’orgoglio del passato. Gli zar e Stalin, Confucio, Ch’ien Lung e Mao, lo splendore dei Caldei, di Nabucodonosor, di Dario e Ciro. Nascerà una confederazione di tre miliardi d’uomini liberi, ed entrerà a passi da gigante nella storia. Noi avremo il nostro Lebensraum, lo spazio di vita che nel 1940 fu precluso a Giappone, Germania e Italia, sempre dallo stesso nemico: gli Stati Uniti d’America.”
“Impensabile un’invasione per fermarvi, vero? L’Europa e Washington hanno una sola possibilità: attacco nucleare preventivo, che non vi dia possibilità di ritorsione”, disse il Papa.
”Santità, sarebbe una scelta suicida, anche noi disponiamo di un potente scudo spaziale!”
“E’ la fine: due mondi ormai separati, destinati a scontrarsi. Il futuro dei cristiani, il futuro stesso dell’uomo è segnato.”
“Niente affatto: è tempo che l’oriente realizzi il socialismo mondiale sulle rovine dell'Europa. E’ un atto trascendente, giacché tra le macerie ci sarà il nostro zelo da salvare.”
“Già, per voi il momento peggiore è il momento migliore.”
”Le trasmutazioni decisive si compiono in piena guerra, santità… ed ora, se volete scusarmi, vi affido agli infermieri. Dopo la procedura d’incapsulamento, potrete tornare a Roma da uomo libero, come tutti gli altri capi di religione non collaborativi.”
Nessuno la vide arrivare, nessuno la vide modellarsi dal nulla. La prima fu Roma, poi la videro tutti: il pentafla vivente, arrestò la sua corsa e tacque, brillando silenzioso sulla terza guerra mondiale, che pareva ormai cominciata.
Prigioniero. Esiliato. S’era consegnato in ostaggio ai nazionalsocialisti per salvare Roma dal saccheggio. Il volo verso Mosca, un lampo. Gli avevano assegnato un immenso appartamento di lusso, all’interno del Cremlino. Un’angoscia scomposta lo avvolgeva pesantemente come un sudario: accusava notevoli difficoltà a distinguere fra le sue incoerenti sensazioni oniriche e la realtà. Non era mai certo d'esser desto, anche se, non appena l’effetto delle droghe si placava, ritornava in lui una disperata lucidità. Uno smarrimento totale increspò le labbra del Papa, non appena si rese conto che la storia stava prendendo la direzione sbagliata. Da quanti giorni era rinchiuso?
Ripensò alla piramide trafugata a Torino. Iniziava a capire, erano i nemici dell’occidente che volevano quello strano reperto, di cui anch’egli ignorava uso e destinazione. Era forse un’arma segreta? A che cosa poteva servire?
Ora… doveva assolutamente riprendere possesso di sé, doveva reclamare un colloquio con il presidente della Federazione Nazionalsocialista. Non potevano trattarlo come un losco despota africano, accusandolo di crimini contro l’umanità. Il mondo libero sarebbe insorto per difendere il suo pastore, se avessero osato dar corso alla minaccia di processarlo; più indugiava in quel pensiero, che pochi mesi prima sarebbe stato il parto della fantasia, più avvertiva la netta impressione d’essere ben desto.
Qualcosa catturò la sua attenzione: impossibile sottrarre lo sguardo da quella gigantografia appesa alla parete, che ritraeva il presidente della Federazione Nazionalsocialista, il presidente del Cirkstan, Ahra Manyu, e il presidente dell’Urukstan, al termine di una seduta dell’ONU. Erano al centro del gruppo composto dai principali capi di stato, e tutti tributavano loro grandi sorrisi: Europa Unita, Cina, India, Giappone, Israele, Brasile, Stati Uniti…
Un assordante caos di motori, cingoli e scarponi chiodati salì inaspettatamente dall’esterno. Con uno sforzo senza pari, Pietro II coprì, vacillando, i pochi metri che lo dividevano dalla finestra. Spostò le tende e vide il viale sottostante invaso di militari in assetto di guerra. Dopo pochi minuti tutto tornò al silenzio, un silenzio assoluto, irreale, che durò più di un’ora.
Era quasi buio, quando una scorta armata accompagnò il Presidente Igor Vlastav negli appartamenti del Papa.
Si avvicinò al pontefice con un calore eccessivo, forse perché aveva bevuto troppo. Indossava un’elegante divisa, trapuntata di decorazioni, ma in capo aveva un cappello carnevalesco con dei campanellini e in tasca una bottiglia di champagne mezza piena.
Salutò militarmente, battendo i tacchi e portando la mano irrigidita alla fronte. Bevve una lunga sorsata, offrendo anche al Papa il collo della bottiglia. “Festa di vittoria!” disse. Si rese conto di non aver dato un esempio di buona educazione, ma sembrava veramente contento di vederlo, tanto che non la finiva più di stringergli vigorosamente la mano, nel più perfetto silenzio.
"Caro presidente, finalmente c’incontriamo” disse il Papa, spezzando l’imbarazzo. Contenne sdegno e impotenza con un tono pacato e dignitoso.
”Vi piacciono i vostri appartamenti? Questa era una foresteria degli zar, avete notato che meravigliose opere d’arte vi circondano? Il cibo ed il trattamento vi soddisfano? Se avete lamentele provvederò subito a punire i responsabili.”
“No, tutto bene, eccellenza. Da quanti giorni sono qui? Ho perso la nozione del tempo.”
“Una settimana.”
“La guerra continua, vero? Povero mondo, poveri innocenti!”
“No, ci siamo ritirati. E’ tregua. Tutto tace, odio a parte, abbiamo vinto e otterremo ciò che vogliamo. Credo che nessuno tenterà una sortita per salvarvi.
E’ stata convocata un’assemblea generale straordinaria delle Nazioni Unite. Le forze occidentali sono troppo deboli e con scarse risorse energetiche per guidare una guerra convenzionale. Non resta che l’arma atomica.”
“La Cina?”
“La Cina? Santità, siamo confederati!”
“Sembrava neutrale.”
“Neutralità tattica. Ormai dipende solo da voi decidere se saremo destinati a perire nelle fiamme dell’olocausto, dove lo scorpione ci vuole precipitare.”
“Che cosa intende dire, Presidente Vlastav?”
“E quando l’Agnello ebbe aperto il Settimo Sigillo… si fece silenzio nel cielo per circa una mezz’ora… e l’Angelo prese il turibolo e lo riempì col fuoco dell’altare e lo gettò sulla Terra, e seguirono tuoni e voci e lampi e gran terremoto…”
“Vedo che conoscete l’Apocalisse.”
“Certo, io sono molto religioso, ero un membro della Chiesa Ortodossa Russa: non temete, presto vi libereremo, senza porre condizioni economiche o territoriali all’occidente. Vi aiuteremo, anzi, con nuovi convenienti contratti per l’energia. Una sola umile richiesta, dovrete firmare una enciclica: questa.”
Gliela porse, un plico voluminoso e fittamente scritto. “E’ una formalità necessaria alla pace.”
“In altri termini?”
“Cedete lo scettro, rinunciate al primato della Chiesa Cattolica Romana. Spronate i fedeli ad abbracciare il Culto Universale del Fuoco Sacro, proposto dai presidenti del Cirkastan e dell’Urukstan.”
“Mi chiedete l’apostasia! E’ assurdo!”
“Lo sapete anche voi che il fuoco sacro è Dio, il Dio della Alleanza, il Dio di Gesù e d’ogni santo e profeta. Semplicissimo. Io ho ottenuto il consenso di tutti i patriarchi ortodossi. I musulmani, gli ebrei, gli indù sono pronti a farlo. Solo una fede universale iconoclasta porrà fine ad ogni guerra.
“Piuttosto il martirio!”
“Vi ricrederete, abbiamo la tecnologia per convincervi a collaborare.”
“Resisterò anche sotto tortura!”
“Non sarà necessario, Santità.”
“Lei cita l’Apocalisse! E’ insensato. La logica del vostro mondialismo mi ricorda, invece, una fiaba d’Esopo. Lo scorpione chiede alla rana di trasportarlo sul dorso all’altra riva del fiume. Non la pungerà con il suo aculeo velenoso, perché perirebbe assieme a lei: ed ecco che in mezzo al guado, lo scorpione affonda il colpo mortale. Non ho potuto dominarsi, questa è la sua natura.”
Rise di gusto: “E voi sareste la rana? Che umorismo sacrilego, vostra Santità!”
“Noi siamo la rana, certo, e la vostra abietta globalizzazione di massa è lo scorpione, che distruggerà la vita.”
“Fandonie, stiamo costruendo un mondo nuovo e giusto, dove tutti i popoli saranno uguali e vivranno in armonia.”
Il presidente Vlastav assunse un tono austero, concitato e nervoso, cercando di trattenere la rabbia che cresceva in lui. “L’imperialismo statunitense, strozzato dalla penuria di risorse energetiche, rinunci al proprio carattere espansionista ed aggressivo! L’America ha potuto eternare il suo sistema e la sua unità garantendo alle classi dirigenti corrotte un alto tenore di vita. Solo sfruttando le risorse degli altri popoli questa egemonia s’è perpetuata per troppo tempo. I nostri mercenari stanno ormai conquistando il continente americano, per rendere giustizia a negri, latini e indio!”
“Sono d’accordo, ma ora volete usare il Papa, affinché questo circolo imperfetto si avvii ad un tragico epilogo?!”
“Rassegnatevi, la rivoluzione mondiale è alle porte: la Grande Russia, la Circassia, la Cina, l’India e l’antica Persia sono rinate. Il nuovo impero, saldamente guidato dalle sue aristocrazie politiche di formazione teocratica, nazionale e socialista, ha recuperato l’orgoglio del passato. Gli zar e Stalin, Confucio, Ch’ien Lung e Mao, lo splendore dei Caldei, di Nabucodonosor, di Dario e Ciro. Nascerà una confederazione di tre miliardi d’uomini liberi, ed entrerà a passi da gigante nella storia. Noi avremo il nostro Lebensraum, lo spazio di vita che nel 1940 fu precluso a Giappone, Germania e Italia, sempre dallo stesso nemico: gli Stati Uniti d’America.”
“Impensabile un’invasione per fermarvi, vero? L’Europa e Washington hanno una sola possibilità: attacco nucleare preventivo, che non vi dia possibilità di ritorsione”, disse il Papa.
”Santità, sarebbe una scelta suicida, anche noi disponiamo di un potente scudo spaziale!”
“E’ la fine: due mondi ormai separati, destinati a scontrarsi. Il futuro dei cristiani, il futuro stesso dell’uomo è segnato.”
“Niente affatto: è tempo che l’oriente realizzi il socialismo mondiale sulle rovine dell'Europa. E’ un atto trascendente, giacché tra le macerie ci sarà il nostro zelo da salvare.”
“Già, per voi il momento peggiore è il momento migliore.”
”Le trasmutazioni decisive si compiono in piena guerra, santità… ed ora, se volete scusarmi, vi affido agli infermieri. Dopo la procedura d’incapsulamento, potrete tornare a Roma da uomo libero, come tutti gli altri capi di religione non collaborativi.”
Nessuno la vide arrivare, nessuno la vide modellarsi dal nulla. La prima fu Roma, poi la videro tutti: il pentafla vivente, arrestò la sua corsa e tacque, brillando silenzioso sulla terza guerra mondiale, che pareva ormai cominciata.