Brano 37
Garibaldi sprofondò la mano destra nella tasca della giacca, stringendo la piastrina di materiale organico. Erano passate quarantotto ore dall’assassinio di padre Pereira e il caso si complicava come mai avrebbe pensato. Era stato troppo semplice ritrovare la piramide; percepiva la netta sensazione di non poter giocare col tempo.
René doveva proteggere Ariette e la piramide, Ted non era tornato in albergo e lui aveva deciso di non dire niente a nessuno per proseguire le indagini da solo. La sera prima Julia, il transessuale ucraino, lo aveva lasciato con un ciao che suonava come un a presto. Lo aveva turbato per la sua inquietante bellezza, sembrava che potesse leggergli nella mente, se non i pensieri, le intenzioni.
Centinaia di luci violente illuminavano la fiera di Rimini cancellando ogni ombra. Nessuno poteva avvicinarsi agli ingressi senza essere osservato dalle telecamere, disposte nei punti strategici. Entrare clandestinamente? Un’impresa impossibile per una persona comune, ma Garibaldi non lo era. Conosceva bene i sistemi di sicurezza, aveva studiato ed applicato tutte le teorie di controllo dello spazio e del territorio, da quelle più semplici, usate dalla polizia nei cortei, alle più sofisticate per sorvegliare aree estesissime. Ma adesso n’aveva le scatole piene di mettere la sua scienza al servizio dei padroni, con quella nuova barbarie mascherata da progresso che avanzava.
Il delirio della difesa personale era superato in intensità solo dalla continua richiesta di sgravi fiscali. Cresceva la pretesa di prestiti pubblici ad infimi tassi d’interesse per gli investimenti in sistemi di sicurezza privati, proporzionali alla consistenza delle proprietà da difendere. Lo stato doveva sostenere la proprietà privata. Per questo motivo, nei parlamenti si dibatteva l’eccessivo dispendio di risorse pubbliche per garantire i diritti sociali che andavano a discapito della sicurezza, come l’istruzione, la casa, l’assistenza sanitaria, i ricoveri ospedalieri, le pensioni. Passavano così leggi che, di fatto, li abolivano, rendendoli un privilegio di chi poteva permetterseli con adeguate assicurazioni e fondi privati. Negli ultimi mesi si stava discutendo sulla libertà di… voto; ma sì, votare costava troppo allo stato, ormai tutti sapevano che alle elezioni potevano presentarsi solo quelli che avevano i soldi per finanziarsi le campagne. Tanto valeva far votare solo chi poteva pagare una cospicua tassa per il suffragio universale.
Il nuovo status quo conservava alcune determinanti storiche, come salari e stipendi, valore di terreni ed immobili, classe e razza, annettendo però un fattore nuovo e decisivo: la paura.
La chiave del successo dell’intera strategia, spesso celebrata come “rinascita dei centri storici”, era stata la segregazione degli stessi e del loro valore immobiliare a fini ecologici. Erano comparsi, dal giorno alla notte, veri e propri dazi con sbarramenti, controllati da telecamere collegate a centri operativi municipali che registravano ogni passaggio. All’inizio gli automobilisti per entrare in città dovevano pagare un pedaggio con tessera magnetica, poi esteso ai pedoni. Infine, le vie d’accesso ai centri storici e finanziari furono chiuse, dando lavoro agli architetti più prezzolati, che idearono barriere fisiche esteticamente appaganti: altissime siepi con le cime elettrificate, sopraelevazioni, profondissime e grandi fontane, muri decorati, fossati ed evolute porte neo gotiche ed art déco. Il traffico interno divenne pedonale, e l’accesso d’ogni grattacielo o palazzo storico fu garantito dai sistemi di sicurezza. La radicale privatizzazione dello spazio pubblico accadde, per… liberare le città dall’inquinamento, senza troppi dibattiti e con limitate proteste.
Nei primi tempi, qualche nutrito gruppo di contestatori era riuscito ad entrare nei centri direzionali, sfondando muri e portoni, o baipassando fossati e canali con corde e canotti. A nulla valeva fracassare gli obiettivi delle telecamere, erano troppe. Premendo qualche bottone sulle tastiere dei computer, la sicurezza dei grandi stabili, delle banche, dei negozi, in pochi minuti poteva sbarrare gli accessi ai costosi immobili. Le porte d’acciaio antiproiettili, antigas, antitutto, si chiudevano sulle finestre e sugli ingressi a livello stradale, ascensori e scale mobili si bloccavano istantaneamente. Ogni rivolta nelle piazze e nei viali deserti, pacifica o violenta che fosse, generava un desiderio di sicurezza sempre più elevato, ma pochissimi danneggiamenti fisici.
Le insurrezioni potevano ormai scoppiare solo nei quartieri popolari e nelle zone abbandonate dal business e dall’industria, scivolate fuori delle cerchie draconiane, che divenivano rifugio d’emarginati, emigrati e gang organizzate, sempre in guerra tra loro. Nelle città più densamente popolate, risse, sparatorie, scippi, furti e omicidi si moltiplicavano in modo esponenziale. Ogni giorno si potevano contare centinaia di morti, abbandonati sulle strade, che nessuno reclamava, per paura. Dopo qualche ora erano caricati dai furgoni delle polizie private e sparivano nel silenzio.
Salivano così i fatturati dei produttori di sbarre e gabbie per la protezione domestica. I vecchi quartieri della classe operaia e impiegatizia si trasformavano ogni notte in zoo, con le case intrappolate dalle sbarre.
L’edilizia popolare ricordava, in grande, i geniali villaggi usati da Pol Pot in Cambogia per indottrinare e incarcerare i contadini. Chi viveva in quei palazzi di cemento senza finestre esterne, con facciate impossibili da graffitare, era considerato il nemico di una nazione ostile. Tutti potevano essere fermati e controllati dalla polizia, in qualsiasi momento, e gli appartamenti erano perquisiti senza autorizzazioni. La struttura ad alveare era tipica delle forze biologiche d’invasione, e rispecchiava la lotta per la supremazia delle minoranze forti sull’esercito dei meno fortunati.
I tagli all’edilizia pubblica avevano trasformato gli abitanti delle case popolari in esseri terrorizzati dagli sfratti, sempre più riluttanti a reclamare i propri diritti costituzionali. La Vigilanza Informatica segnalava le famiglie in cui vivevano i sovversivi: esagitati, alcolizzati, sindacalisti, hacker, spacciatori, ladri, leader di movimenti politici o d’opinione extra parlamentari. L’intera famiglia, che consegnasse o no il parente sospetto, veniva sfrattata con un semplice atto di forza, come facevano gli israeliani con le comunità palestinesi nei Territori Occupati, ritrovandosi senza lavoro e senza casa. Anche gli omicidi politici a scopo preventivo erano all’ordine del giorno e non erano considerati reato grave, poiché dei corpi non si trovava traccia. Se n’occupava la Squadra degli Indici Neri, un vero esercito segreto d’addestrati facinorosi.
Noi portiamo ordine dove gli altri falliscono, era lo slogan di tutte le polizie private. La pratica di assoldare killer era diffusa anche nel ceto medio.
Garibaldi sprofondò la mano destra nella tasca della giacca, stringendo la piastrina di materiale organico. Erano passate quarantotto ore dall’assassinio di padre Pereira e il caso si complicava come mai avrebbe pensato. Era stato troppo semplice ritrovare la piramide; percepiva la netta sensazione di non poter giocare col tempo.
René doveva proteggere Ariette e la piramide, Ted non era tornato in albergo e lui aveva deciso di non dire niente a nessuno per proseguire le indagini da solo. La sera prima Julia, il transessuale ucraino, lo aveva lasciato con un ciao che suonava come un a presto. Lo aveva turbato per la sua inquietante bellezza, sembrava che potesse leggergli nella mente, se non i pensieri, le intenzioni.
Centinaia di luci violente illuminavano la fiera di Rimini cancellando ogni ombra. Nessuno poteva avvicinarsi agli ingressi senza essere osservato dalle telecamere, disposte nei punti strategici. Entrare clandestinamente? Un’impresa impossibile per una persona comune, ma Garibaldi non lo era. Conosceva bene i sistemi di sicurezza, aveva studiato ed applicato tutte le teorie di controllo dello spazio e del territorio, da quelle più semplici, usate dalla polizia nei cortei, alle più sofisticate per sorvegliare aree estesissime. Ma adesso n’aveva le scatole piene di mettere la sua scienza al servizio dei padroni, con quella nuova barbarie mascherata da progresso che avanzava.
Il delirio della difesa personale era superato in intensità solo dalla continua richiesta di sgravi fiscali. Cresceva la pretesa di prestiti pubblici ad infimi tassi d’interesse per gli investimenti in sistemi di sicurezza privati, proporzionali alla consistenza delle proprietà da difendere. Lo stato doveva sostenere la proprietà privata. Per questo motivo, nei parlamenti si dibatteva l’eccessivo dispendio di risorse pubbliche per garantire i diritti sociali che andavano a discapito della sicurezza, come l’istruzione, la casa, l’assistenza sanitaria, i ricoveri ospedalieri, le pensioni. Passavano così leggi che, di fatto, li abolivano, rendendoli un privilegio di chi poteva permetterseli con adeguate assicurazioni e fondi privati. Negli ultimi mesi si stava discutendo sulla libertà di… voto; ma sì, votare costava troppo allo stato, ormai tutti sapevano che alle elezioni potevano presentarsi solo quelli che avevano i soldi per finanziarsi le campagne. Tanto valeva far votare solo chi poteva pagare una cospicua tassa per il suffragio universale.
Il nuovo status quo conservava alcune determinanti storiche, come salari e stipendi, valore di terreni ed immobili, classe e razza, annettendo però un fattore nuovo e decisivo: la paura.
La chiave del successo dell’intera strategia, spesso celebrata come “rinascita dei centri storici”, era stata la segregazione degli stessi e del loro valore immobiliare a fini ecologici. Erano comparsi, dal giorno alla notte, veri e propri dazi con sbarramenti, controllati da telecamere collegate a centri operativi municipali che registravano ogni passaggio. All’inizio gli automobilisti per entrare in città dovevano pagare un pedaggio con tessera magnetica, poi esteso ai pedoni. Infine, le vie d’accesso ai centri storici e finanziari furono chiuse, dando lavoro agli architetti più prezzolati, che idearono barriere fisiche esteticamente appaganti: altissime siepi con le cime elettrificate, sopraelevazioni, profondissime e grandi fontane, muri decorati, fossati ed evolute porte neo gotiche ed art déco. Il traffico interno divenne pedonale, e l’accesso d’ogni grattacielo o palazzo storico fu garantito dai sistemi di sicurezza. La radicale privatizzazione dello spazio pubblico accadde, per… liberare le città dall’inquinamento, senza troppi dibattiti e con limitate proteste.
Nei primi tempi, qualche nutrito gruppo di contestatori era riuscito ad entrare nei centri direzionali, sfondando muri e portoni, o baipassando fossati e canali con corde e canotti. A nulla valeva fracassare gli obiettivi delle telecamere, erano troppe. Premendo qualche bottone sulle tastiere dei computer, la sicurezza dei grandi stabili, delle banche, dei negozi, in pochi minuti poteva sbarrare gli accessi ai costosi immobili. Le porte d’acciaio antiproiettili, antigas, antitutto, si chiudevano sulle finestre e sugli ingressi a livello stradale, ascensori e scale mobili si bloccavano istantaneamente. Ogni rivolta nelle piazze e nei viali deserti, pacifica o violenta che fosse, generava un desiderio di sicurezza sempre più elevato, ma pochissimi danneggiamenti fisici.
Le insurrezioni potevano ormai scoppiare solo nei quartieri popolari e nelle zone abbandonate dal business e dall’industria, scivolate fuori delle cerchie draconiane, che divenivano rifugio d’emarginati, emigrati e gang organizzate, sempre in guerra tra loro. Nelle città più densamente popolate, risse, sparatorie, scippi, furti e omicidi si moltiplicavano in modo esponenziale. Ogni giorno si potevano contare centinaia di morti, abbandonati sulle strade, che nessuno reclamava, per paura. Dopo qualche ora erano caricati dai furgoni delle polizie private e sparivano nel silenzio.
Salivano così i fatturati dei produttori di sbarre e gabbie per la protezione domestica. I vecchi quartieri della classe operaia e impiegatizia si trasformavano ogni notte in zoo, con le case intrappolate dalle sbarre.
L’edilizia popolare ricordava, in grande, i geniali villaggi usati da Pol Pot in Cambogia per indottrinare e incarcerare i contadini. Chi viveva in quei palazzi di cemento senza finestre esterne, con facciate impossibili da graffitare, era considerato il nemico di una nazione ostile. Tutti potevano essere fermati e controllati dalla polizia, in qualsiasi momento, e gli appartamenti erano perquisiti senza autorizzazioni. La struttura ad alveare era tipica delle forze biologiche d’invasione, e rispecchiava la lotta per la supremazia delle minoranze forti sull’esercito dei meno fortunati.
I tagli all’edilizia pubblica avevano trasformato gli abitanti delle case popolari in esseri terrorizzati dagli sfratti, sempre più riluttanti a reclamare i propri diritti costituzionali. La Vigilanza Informatica segnalava le famiglie in cui vivevano i sovversivi: esagitati, alcolizzati, sindacalisti, hacker, spacciatori, ladri, leader di movimenti politici o d’opinione extra parlamentari. L’intera famiglia, che consegnasse o no il parente sospetto, veniva sfrattata con un semplice atto di forza, come facevano gli israeliani con le comunità palestinesi nei Territori Occupati, ritrovandosi senza lavoro e senza casa. Anche gli omicidi politici a scopo preventivo erano all’ordine del giorno e non erano considerati reato grave, poiché dei corpi non si trovava traccia. Se n’occupava la Squadra degli Indici Neri, un vero esercito segreto d’addestrati facinorosi.
Noi portiamo ordine dove gli altri falliscono, era lo slogan di tutte le polizie private. La pratica di assoldare killer era diffusa anche nel ceto medio.